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Calcio: l'intervista

Alberto Arcuri, da Salviano al primo gol all'Ardenza: «Livorno nel cuore, tre segnali mi hanno detto che avrei segnato»

di Alessandro Lazzerini
Alberto Arcuri (Foto di Franco Silvi)
Alberto Arcuri (Foto di Franco Silvi)

Ha regalato i tre punti agli amaranto contro il San Donato: «Esaudito un sogno che avevo da bambino, un’emozione indescrivibile. La dedica è tutta per nonno Aldo»

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LIVORNO. “Sogna, ragazzo, sogna”. Uno degli aspetti più belli di questo Livorno capolista è che a turno sono i giovani labronici a trascinare la squadra e a vivere almeno una di quelle domeniche in cui pensi di toccare il cielo con un dito. È capitato a Parente, a Marinari e contro il San Donato Tavarnelle è stata la volta di Alberto Arcuri, bravo nel trovare la zampata vincente in zona Cesarini. Classe 2004, livornese doc, di Salviano, cresciuto nei luoghi fulcro della sua generazione. E oggi protagonista assoluto sul prato verde dell’Armando Picchi. «Quando Bellini aveva la palla tra i piedi, ho visto un buco nella difesa di loro e mi ci sono inserito – spiega l’esterno mancino -. Speravo nella spizzata di Gucci, che è stata perfetta. L’ho toccata con la coscia e poi, vabbè, il resto lo sappiamo tutti».

Cosa ha pensato in quegli istanti?

«A dir la verità quando la palla ha preso il palo ho detto “speriamo che entri”. Tra gli interventi del portiere di loro e la sfortuna la porta sembrava stregata. Quando l’ho vista entrare, si è esaudito un sogno che avevo da bambino. Sono emozioni difficili da descrivere a parole».

Poi un gol decisivo. ..

«Esatto. In una partita tosta, in un momento chiave del campionato, un gol da tre punti. È qualcosa di eccezionale».

C’è un aspetto particolare che l’ha colpita particolarmente?

«A dir la verità sono tre cose. Giovedì, a fine allenamento, Risaliti mi fa: “oh, ma domenica la butti dentro? ” . Sabato pomeriggio tutti i miei amici scherzavano sul fatto che non facessi mai gol. E prima di entrare mister Pascali mi ha detto: “te entri e fai gol”. Tre eventi che ho visto come un segno del destino».

E una dedica?

«A mio nonno Aldo. Gioco con il numero 21 perché è venuto a mancare il 21 marzo. L’ho sempre detto, il primo gol in campionato con il Livorno è per lui».

Un messaggio che le ha fatto particolarmente piacere?

«Quello di mio fratello Alessio. È a Messina perché gioca in una squadra di Serie A2 di calcio a 5. È il primo che ho letto dopo la partita e mi ha emozionato. Mi ha sempre seguito ovunque».

Tornando alla partita, una vittoria fondamentale...

«Assolutamente. Abbiamo interpretato benissimo la sfida, non abbiamo mai sofferto, però non riuscivamo a trovare il gol. Sono quelle partite in cui serve un gol per poi farla andare in discesa. Mano a mano che passano i minuti cresce anche il nervosismo, ma ogni caso la prestazione ci sarebbe stata comunque».

Una squadra, per mentalità dell’allenatore Paolo Indiani, che fino all’ultimo prova a vincere.

«Quando vinciamo con tanti gol di scarto, come può essere un 4-0, mister Indiani ci chiede di pensare a fare il quinto. Pensante voi quanto potesse voler attaccare ed essere propositivo sullo 0-0».

Negli anni a Pistoia e Grosseto ha giocato in grandi squadre per la Serie D, cosa ha questo Livorno in più?

«Il calibro di alcuni giocatori come Luci e Dionisi che hanno calcato la Serie A e a questi livelli sono un lusso. La profondità della rosa e l’intesa che abbiamo trovato. C’è un’alchimia speciale, siamo un gruppo di amici».

Durante il periodo natalizio vi siete anche concessi una vacanza?

«Sì, con Parente e D’Ancona siamo andati quattro giorni a Parigi. Avevamo allargato a tutti gli altri, ma ovviamente ognuno aveva le proprie esigenze e ci siamo trovati noi. Ci conosciamo da pochi mesi, ma questo testimonia il rapporto che abbiamo. Speriamo di poter festeggiare tutti insieme in estate».

Com’è giocare da livornese nel Livorno?

«Innanzitutto una responsabilità. Soprattutto dopo anni difficili e con un obiettivo così ambizioso. E poi un orgoglio immenso. Babbo è un grande tifoso, come nonno, una passione tramandata di generazione in generazione».

Tanti livornesi in squadra, un segreto in più?

«Di sicuro. Luci, Frati, ma anche un livornese d’adozione come Dionisi, trasmettono a tutti l’importanza di vestire questa maglia. E poi soprattutto per noi giovani è un’opportunità unica, di quelle che capitano una volta nella vita. Fino a qualche anno fa dovevi fare la Serie A o B per giocare nel Livorno. E ha visto a Grosseto? Qui c’è una città che vive per questa maglia».

Negli anni più di una volta era stato vicino a tornare a casa, cosa è cambiato in estate?

«C’era stato un interesse anche l’anno prima. In estate parlando in famiglia dicevo che per ripartire dopo l’infortunio l’ideale sarebbe stato restare vicino casa. Una settimana dopo mi chiamò il procuratore dicendomi che Indiani mi avrebbe voluto al Livorno. Ci ho messo mezzo secondo a dire sì».

E Alberto chi è fuori dal campo?

«Un ragazzo tranquillo che durante la settimana esce poco. Solo nel weekend mi regalo un po’di tempo con i miei amici di sempre. Un aperitivo al Glamour a Banditella o un salto al moletto di Antignano».

Torniamo al campo: dodici finali per coronare un sogno.

«Esatto. Dobbiamo rimanere concentrati. Ci sono ancora dodici partite da giocare e il campionato finisce quando la matematica dà i suoi verdetti. Noi dobbiamo continuare a vincere senza fare calcoli».

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