Addio Carletto Mazzone, con lui in Uefa: a Livorno si regalò il suo record
Le battute, gli urli, la zia di Ardenza e quella frase a Galante rimasta storica
LIVORNO. «Alessà, me sa che so venuto nel momento sbagliato». Carletto Mazzone era uomo arguto. Plateale a volte nei suoi atteggiamenti, ma sempre lucido nell’analisi. Aveva capito tutto. Sì, era arrivato a Livorno nel momento sbagliato. Anche se poi quella stagione portò il Livorno in Europa: gli amaranto chiusero il campionato di A al nono posto con un brusco calo nel finale sotto la gestione di Mazzone, ma dopo le sentenze per Calciopoli salirono al sesto posto qualificandosi per la Coppa Uefa.
Carletto Mazzone si è spento ieri a 86 anni e ancora oggi detiene il record di panchine in Serie A (792 partite più 5 spareggi) grazie alle 15 alla guida del Livorno. Proprio Livorno è stata la sua ultima avventura da allenatore. Lo chiamò Spinelli, era fine gennaio del 2006. Successe di tutto in poche ore. Il Livorno perde a Messina ma è sesto in classifica con 38 punti, subito dietro alle big. Spinelli il lunedì sera interviene al Processo del Lunedì di Biscardi e tuona: «Con il Messina Donadoni ha avuto una giornata disastrosa proprio come l' arbitro Rosetti. E poi è un mese che non vinciamo e giochiamo male». Donadoni ascolta in diretta, riflette qualche ora e poi decide: dimissioni irrevocabili. Una frittata proprio nel momento più alto della storia recente del Livorno. É la squadra di Cristiano Lucarelli, di Galante e Balleri, di Passoni e Coco, di Amelia e Vargas, di Ruotolo e Paulinho.
Dopo due giorni, a sorpresa, Spinelli punta su Carletto Mazzone. Che di Livorno aveva ricordi da bambino, quando a volte veniva da una zia facoltosa di Ardenza. Lei lo riempiva di coccole ma anche di qualche lira, il che non faceva male visto che la famiglia non navigava nell’oro.
Il “Sor Carletto” non ci pensa molto a dire “sì” a Spinelli. E non per la zia, ma perché gli mancano una manciata di partite per diventare l’allenatore con più panchine in serie A. É un treno che va preso. Al volo.
Il debutto l’8 febbraio proprio nella sua Ascoli, dove vive: finisce 0-0 ma in panchina va Bortolazzi perché lui deve scontare una vecchia squalifica. Entusiasmante invece l’esordio al Picchi quattro giorni dopo: contro la Fiorentina finisce 2-0 con una doppietta indimenticabile di Cristiano Lucarelli. In panchina, Mazzone urla ed esulta come un ragazzino, alla fine in mezzo al campo saluta uno stadio gremito e si prende un diluvio di applausi. Poi arriva in sala stampa e sorprede tutti: «Io in questa vittoria ho solo beneficiato del lavoro di Donadoni. Ho schierato in pratica la stessa squadra e lo stesso modulo, non c'era niente da stravolgere. Donadoni mi ha tirato la volata e voglio ringraziarlo pubblicamente».
Non ci saranno poi molte altre gioie per il Livorno di Mazzone. Il suo bilancio a fine stagione sarà di 2 sole vittorie, 5 pareggi e 8 sconfitte, col fantasma di Donadoni ad aleggiare sempre sopra di lui.
Diciamolo chiaramente, quell’esonero fu un autogol, tantopiù dopo aver venduto Lazetic a gennaio. Mazzone non riuscì a dare molto al Livorno ma comunque resta l’onore di aver avuto in panchina un uomo del calcio d’altri tempi. Un genuino. Un onesto.
Ci resteranno negli occhi e nelle orecchie gli urlacci al dribbling di troppo di Bakayoko o al tocco di troppo di Colucci, ma anche le sue pacche sulle spalle, i suoi sorrisi, la sua ironia. Come quella che volta che si presentò in sala stampa spiegando perché si era arrabbiato con Galante: «Ogni volta che imposta, lancia a sinistra. Va bene che voi a Livorno siete tutti di sinistra, ma non è che si può lasciare una fascia vuota...».