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Calcio: Serie D

Doga e la crisi del Livorno: «Il malumore dei tifosi è normale finora è una squadra senz’anima»

di Alessandro Lazzerini
Doga e la crisi del Livorno: «Il malumore dei tifosi è normale finora è una squadra senz’anima»

L’ex giocatore amaranto è spesso al Picchi a sostenere la squadra. «La società ha capito che il gruppo estivo non poteva competere per il vertice»

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LIVORNO. Con il numero 15 sulle spalle della sua maglia amaranto ha macinato chilometri e chilometri sulla fascia sinistra negli anni d’oro del Livorno tornato in Serie A dopo 55 anni.
Il suo legame con la città è sempre stato granitico tant’è che, nonostante sia nato a Genova, da anni ormai abita all’ombra dei Quattro Mori. Questo perché Alessandro Doga nel Livorno non è stato solo calciatore. Ma anche allenatore nel settore giovanile, prima di diventarne responsabile. E sempre tifoso, vicino alle sorti della squadra. Come adesso, quando spesso e volentieri è all’Armando Picchi.

Qualcuno lo definisce procuratore, ma lui ci tiene a precisare: «Non lo sono e voglio sottolinearlo per rispetto dei tanti che lo sono. Cerco solo di consigliare alcuni ragazzi con cui ho rapporti da molto tempo e che ho visto crescere nel settore giovanile del Livorno. Lo faccio volentieri per aiutarli a trovare la situazione migliore usando quarant’anni di esperienza che ho in questo mondo».

La vediamo spesso allo stadio.

«È normale per me. Del Livorno sono sempre stato tifoso anche se con questa maglia ho vissuto esperienze diverse dentro e fuori dal campo. Ora vengo da appassionato».

Che impressione le ha fatto il Livorno?

«Beh, sicuramente il contesto attuale non premia quelli che sono i ricordi ancora freschi che i tifosi hanno del grande calcio visto. Non è un bello spettacolo vedere il Livorno invischiato in queste categorie, ma la ripartenza doveva per forza essere dal basso. Abbiamo visto lo scorso anno quanto sia stato difficile il campionato di Eccellenza e quanto lo sia ora quello di Serie D. La società è in una fase ancora embrionale».

Per adesso però la classifica non premia gli amaranto.

«Livorno ha bisogno di risultati soprattutto in queste categorie dove comunque nessuno regala niente e allo stesso tempo la gente ha bisogno di identificarsi nello spirito e nell’animo che in questo avvio di stagione la squadra ha dimostrato di non avere. Venendo meno queste caratteristiche, il malessere della tifoseria può essere giustificato. E così si crea una catena pericolosa».

Cioè?

«Se i risultati non arrivano, la piazza non gradisce e aumenta la pressione sui giocatori che magari non sono abituati ad affrontarla. A Livorno di tempo ce n’è poco e il rischio è di rimanere ingolfati».

A dicembre c’è stata una rivoluzione totale.

«Inizialmente era stato scelto Collacchioni, allenatore giovane in rampa di lancio, mentre dopo si è puntato su un profilo di categoria come Esposito. Il mercato estivo è stato molto particolare e sicuramente non semplice per la questione del ricorso. La società adesso ha avuto l’umiltà di ammettere gli errori che potevano esserci stati cambiando molto. Prima mancava equilibrio secondo me e i risultati hanno detto che la squadra non poteva competere per le posizioni di vertice».

E ora?

«Secondo me ci sono ottime potenzialità, soprattutto nel reparto offensivo con giocatori come Frati e Lo Faso, oltre agli ultimi arrivati. E mi piace anche molto Greselin che, trovato il sistema adatto, può essere un uomo importante. Resta da capire quale possa essere il modulo con cui il tecnico vuole impostare la squadra».

Non c’è molto tempo.

«No, assolutamente, ed è la cosa più difficile. Perché plasmare una squadra non è un’operazione immediata, ma ora credo ci sia un periodo in cui saranno decisivi i risultati al di là anche delle prestazioni. Questo per dare fiducia al gruppo e far passare questo periodo di nuovo assestamento, visto che per creare un sistema, come detto, serve tempo».

Ma come si vince in Serie D secondo lei?

«Non c’è una scienza esatta. Il Catania ad esempio ha un budget super ed è riuscito a trovare i profili giusti, mentre una squadra come l’Arezzo, partita con largo anticipo e con un ds per me tra i migliori tra C e D come Giovannini, sta faticando. Ricordo il primo anno di D della Pro Livorno Sorgenti in cui vinse il Fiorenzuola rispetto alla corazzata Aglianese. Non è che chi più spende vince, e lo dimostra anche il successo della Pianese. Serve trovare l’alchimia giusta».

Il Livorno che obiettivo si deve dare ora?

«Quello di lavorare al massimo con la consapevolezza che se questa stagione non riuscisse a fare il salto di categoria, il lavoro fatto poi se lo ritrova a giugno nella costruzione del prossimo anno. In queste categorie, e non solo, la programmazione è cruciale».

Tra i “suoi” giocatori ha Apolloni e Pecchia, entrambi sfortunati nella prima parte di stagione.

«Federico può essere un giocatore importante. Lo step che deve fare è quello di vivere l’esperienza a Livorno in modo viscerale, ma imparando a gestire questo sentimento. Perché a volte per la voglia di strafare, esagera e sbaglia. Sta lavorando duramente per tornare al meglio. Mentre Pecchia ha grandi doti atletiche e mi è dispiaciuta la ricaduta a Piancastagnaio, perché dopo uno stop muscolare, magari serviva un minutaggio diverso. Se starà bene fisicamente, ha la possibilità di far cose importanti e mostrare tutte le qualità che i tifosi conoscono».

Un’ultima cosa. Considerando anche l’idea di ricostruire il settore giovanile, si vede nel Livorno nel futuro?

«In generale dico che mi vedo più ruoli “attivi” come quelli che ho vissuto nelle mie esperienze precedenti una volta finita la carriera da giocatore. Allo stesso tempo però faccio anche altro nella vita quindi non ho l’assillo di voler rientrare per forza in una società. Certo, se capitasse un’occasione la valuterei».

E se fosse Livorno?

«Dovrebbero esserci i presupposti per lavorare bene, come secondo me avevamo fatto nella mia esperienza precedente. Questo perché se entro in un progetto voglio che sia di valore, a maggior ragione se dovesse essere nella città in cui abito e in una piazza che mi ha dato tantissimo».

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