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Livorno, lo scontro istituzionale si allarga: il prefetto nel mirino del consiglio comunale

di Giulio Corsi

	Il prefetto Giancarlo Dionisi
Il prefetto Giancarlo Dionisi

Non solo la maggioranza contro Giancarlo Dionisi: duri attacchi dall’opposizione di sinistra dopo le parole su piazza Garibaldi

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LIVORNO. Trenta minuti di fuoco in consiglio comunale aprono uno squarcio istituzionale pesantissimo, allargando ulteriormente lo strappo sempre più netto tra il sindaco e il prefetto. Giancarlo Dionisi stavolta finisce nel mirino non solo di Luca Salvetti – che nel suo intervento usa parole mai così dure nei suoi confronti – ma anche di buona parte dell’aula, dove la maggioranza di centrosinistra trova sostegno dalla sinistra di Livorno Popolare e Buongiorno Livorno, rivendicando il ruolo della politica nelle strategie urbanistiche e sociali del territorio, anche quelle legate alle questioni di sicurezza e respinge la zona rossa e quelle che ritiene ingerenze del prefetto. Con il consigliere Pietro Panciatici (BL) che afferma tranchant: «Per scegliere politiche securitarie di un certo tipo per la nostra città, bisogna vincere le elezioni a Livorno».

Al centro dell’attenzione ancora una volta il tema sicurezza. E l’intervista che il prefetto ha rilasciato al Tirreno sabato scorso, nella quale annunciando l’allargamento a piazza della Repubblica della zona rossa chiedeva l’immediato abbattimento delle baracchine di piazza Garibaldi.

Alla stessa intervista aveva replicato sul nostro giornale, il giorno dopo il sindaco Salvetti: “Il prefetto non ci detti le regole, i suoi toni sono inaccettabili, riqualificare quell’area a livello urbanistico non gli compete”. Proprio da qui si è aperto, anche in maniera inaspettata l’infuocato dibattito. A dare il la è stata una comunicazione di Alessandro Guarducci (Forza Italia) in difesa di Dionisi e in attacco a Salvetti: «Nel leggere l’intervista del sindaco su piazza Garibaldi sono rimasto spiacevolmente sorpreso, sia dai contenuti che dai toni sopra le righe – ha detto Guarducci rivolgendosi a Salvetti -. Sarebbe auspicabile una maggiore coerenza nell’azione di governo del sindaco. Comprendo che la sicurezza possa creare fibrillazioni nella maggioranza che la sostiene come è emerso da un intervento sul Tirreno di martedì 9 dicembre, ma sarebbe necessario un approccio più saldo e lineare da parte sua. Lei ripete spesso che la sicurezza è competenza dello stato e il sindaco non c’entra e allora perché ogni volta che il prefetto Dionisi avanza una richiesta, lei la vive come ingerenza, mostrando fastidio come fosse un’imposizione? Lei, sindaco, reagisce come se il prefetto mettesse limiti alla sua iniziativa politica. E invece la zona rossa aumenta i controlli verso chi delinque. Spero che non torni indietro sulla decisione di riqualificare la piazza eliminando le baracchine, come aveva annunciato in consiglio comunale».

Contro il sindaco anche l’intervento di Alessandro Perini (Fdi): «Stiamo vedendo tutte le sue contraddizioni su piazza Garibaldi, da anni racconta che le baracchine saranno tolte, e invece sono rimaste quasi tutte. E ora dichiara al giornale che si torna indietro. Cosa sta facendo di concreto, a parte gli spettacolini, per aiutare i residenti di piazza Garibaldi, oppressi dagli spacciatori per anni nella sua totale indifferenza?».

Qui è terminata la parte del centrodestra ed è iniziato il diluvio di sinistra e centrosinistra contro Dionisi. «Non entro sul giudizio politico della sicurezza e su cosa sta facendo l’amministrazione, ma gli interventi del prefetto evidenziano una sovraesposizione mediatica non opportuna per il suo ruolo – ha detto Pietro Panciatici (BL) –. Le questioni della sicurezza e dell’urbanistica ad essa legata sono scelte politiche. Le scelte sulle zone rosse, non condivisibili politicamente, non stanno ottenendo risultati se non di spostare i criminali fuori dalle zone rosse. Non condividiamo l’intervento del prefetto rispetto alle scelte politiche dell’amministrazione comunale: questo è un organo elettivo e politico, e certi atteggiamenti sono scorretti. Se qualcuno sceglie politiche securitarie di un certo tipo per la nostra città, deve vincere le elezioni a Livorno».

E Camilla Barontini di Livorno Popolare aggiunge: «L’estensione a piazza delle Repubblica e dintorni della zona rossa significa che si sposta la criminalità. Alla fine Livorno diventerà una grande zona rossa. Ci sarà ogni giorno una zona rossa nuova. Interferire in modo forte su come si deve lavorare in piazza Garibaldi, non è competenza del prefetto, l’unico risultato di questo approccio è creare un distacco dalla politica che sembra non in grado di risolvere il problema, e spaventare i cittadini».

Poi la maggioranza. Per Francesca Ricci (Livorno Civica) «non possiamo focalizzare l’attenzione solo sulle baracchine. Se c’è un progetto per quel quartiere tutti dobbiamo sostenerlo e seguirlo e non pensare che due volanti tutte le notti possano essere la soluzione per far vivere una piazza, significa solo rendere la piazza deserta e ciò non è la soluzione».

Denise Bertozzi (Avs) attacca un passaggio dell’intervista al prefetto: «Quando dice “se la criminalità si sposta, lo Stato la segue” rivela molto sul metodo che questo governo vuole impostare. Lo Stato non segue la criminalità ma fa progetti. La zona rossa non funziona, la criminalità si è spostata verso piazza dei Mille e via della Pina d’Oro. Quando si espande una zona rossa, è un fallimento».

Matteo Vivoli (Pd) rivendica il ruolo della politica: «Guarducci riporta la questione nel suo sentiero naturale, cioè che le scelte politiche di gestione del territorio ricadono e sono di esclusiva competenza dell’amministrazione comunale. La scelta di approcciare una politica di sicurezza integrata presuppone una visione, che anticipa le sollecitazioni del prefetto. Ma spetta all’amministrazione comunale gestire il territorio e alla politica, nella sua legittimazione dal basso, attuare e portare avanti queste attività».

La chiusura del dibattito è spettata al sindaco. Che ha usato parole durissime verso Dionisi. «Sono convinto che alla fine Guarducci si mangerà la mani – dice Luca Salvetti –, perché ci ha dato la possibilità di far comprendere come questa situazione non sia una sfida tra sindaco e prefetto, ma una sfida tra un modo di intendere un ruolo istituzionale e la città di Livorno, che certi toni difficilmente li ha accettati nella sua storia».

Salvetti ha ringraziato i consiglieri di sinistra e centrosinistra intervenuti e citato Panciatici: «Centra il punto della questione che riguarda la città di Livorno e tutte le città nel rapporto con le rappresentanze dello Stato».

Poi ha raccontato «che i lavori del comitato di ordine e sicurezza pubblica si svolgono in armonia unica, c’è una condivisione dei problemi con i rappresentanti delle forze dell’ordine, c’è il resoconto di quel che fa il Comune, l’intreccio di obiettivi e la costruzione di un quadro che serve alla città. Poi quando finisce il Cosp e inizia la comunicazione all’esterno mi trovo incredibilmente di fronte a toni che non ritengo opportuni e in alcuni casi sono inaccettabili. Se lei, Guarducci, fosse stato eletto sindaco e avesse lavorato sul suo programma votato dai cittadini magari prevedendo il raddoppio delle baracchine, nessun prefetto al mondo avrebbe potuto dirle di togliere le baracchine, lei avrebbe rivendicato un ruolo e la sua visione e le sue competenze: è ciò che ho fatto io, con in più un aspetto, noi il programma sulla piazza ce l’abbiamo chiaro con un cronoprogramma da più di un anno e mezzo quando Dionisi era in quel di Nuoro».

«Quel programma – ha aggiunto il sindaco – l’abbiamo ricordato al Cosp e davanti all’esempio che ho fatto al giornale sulle baracchine che non si tolgono il prefetto non potrebbe dirmi che non posso, sarebbe una scelta politica dell’amministrazione comunale, della maggioranza e della città su cui non si può ragionare. Se le baracchine rimanessero lì – e non succederà –, il prefetto dovrebbe attrezzarsi per controllare dietro le baracchime non per toglierle».

Ma l’affondo del sindaco contro il rappresentante del governo non è terminato: «Questa città in sei anni ha avuto la capacità di costruire rapporti istituzionali importanti e il sottoscritto ha incrociato tre prefetti, tre questori, due comandanti della Finanza, tre dei carabinieri, due della Capitaneria e tre dell’Accademia e non ci sono stati problemi, ma una condivisione piena del percorso da fare per il bene della città a cominciare dal tema della sicurezza. Se questo viene meno il sindaco è il solito da sei anni, a cambiare è stato qualcun altro, interroghiamoci su questo. In questa città si lavora insieme, con un obiettivo comune, una strategia che ha funzionato».

Poi l’attacco politico: «Sul tema della sicurezza i sindaci hanno fatto intendere bene che è il governo che deve operare, i numeri del governo tutti col segno meno sulla gestione della sicurezza sono preoccupanti, non vorrei che ci sia un input generale a rispondere al fatto che i sindaci hanno ben chiarito dove sono le responsabilità di sicurezza. Se così fosse si sappia che a Livorno non metteranno in difficoltà il sindaco, il centronistra, la maggioranza e la sinistra». 

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