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Livorno, a Villa Mimbelli spunta lo slogan della discordia: «Sbagliato promuovere così la cultura». Cosa è successo

di Martina Trivigno
Il cartellone, Ruffini e Ballantini
Il cartellone, Ruffini e Ballantini

La frase sul manifesto divide i cittadini e accende la polemica. Paolo Ruffini e Dario Ballantini: «Un inno alle libertà reciproche»

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LIVORNO. «Se vuoi fare come ti pare vieni a Livorno». Per i più è soltanto un detto popolare labronico che però, questa volta – associato alla mostra in onore del pittore Giovanni Fattori per celebrare i 200 anni dalla sua nascita – fa storcere il naso a una parte dei livornesi. Sarà perché su quel manifesto c’è il logo istituzionale del Comune di Livorno, ma la polemica è servita. È solo sarcasmo – si chiedono i cittadini – o un inno all’anarchia e all’illegalità?

Il fatto

Questa frase – insieme all’immagine del principale esponente dei Macchiaioli – è comparsa circa tre mesi fa su quattro cartelloni (di cui oggi ne resta uno solo) affissi davanti all’ingresso di Villa Mimbelli. E da quel momento è partito il tamtam social (che non si è mai fermato), fomentato da chi proprio non ha gradito la campagna pubblicitaria (tra l’altro rilanciata anche attraverso i canali istituzionali) scelta dal Comune per promuovere la mostra “Una rivoluzione in pittura” dedicata a Fattori e che sarà inaugurata il 6 settembre prossimo.

Il riferimento

Ma perché ad alcuni la scelta comunicativa di Palazzo civico non va giù? Il detto affonda le radici nel lontano passato e il riferimento è alle Leggi Livornine, promulgate nel 1593 dal granduca di Toscana Ferdinando I de’ Medici. Oltretutto “se vuoi fare come ti pare a Livorno devi andare” è uno dei più famosi detti labronici, che oggi viene perlopiù usato per riferirsi a un gesto o un’azione non proprio “a norma di legge”. Lo si può dire, ad esempio, riferendosi a un’auto parcheggiata in doppia fila oppure a chi viaggia in bici in controsenso nel bel mezzo della strada o, ancora, a un automobilista che non si ferma a un incrocio o non dà la precedenza ai pedoni che attraversano sulle strisce pedonali. E proprio l’accezione di trasgressione e anarchia che la frase ha assunto nel corso del tempo ha toccato le corde più sensibili di una parte dei livornesi che fin da subito hanno sottolineato come il Comune, per promuovere la cultura, non abbia solo il dovere di attirare i visitatori, ma anche di alzare il livello del dibattito, educando al bello e al profondo e non incitando a trasgredire la legge.

La voce degli artisti

Il detto livornese fuori dai cancelli di Villa Mimbelli ha fatto il giro della città, oltrepassando anche i confini regionali. Quando il comico livornese Paolo Ruffini risponde al telefono, resta un secondo in silenzio, poi sorride. «Ormai polemizzo sulle polemiche ma non posso fare diversamente – spiega – . È una frase che si riferisce alla libertà che caratterizza i livornesi e in cui non leggo alcun senso negativo. Mi sento di citare Franco Battiato quando dice “il piacere di stare insieme solo per criticare”. Ci sono tante cose belle a cui pensare, sarebbe meglio concentrarsi su quelle anziché fare polemica su tutto».

E sulla stessa lunghezza d’onda c’è anche l’artista Dario Ballantini che, al contrario, considera lo slogan divertente e identitario della città e dei suoi abitanti. «Trovo lo slogan scherzoso e goliardico in perfetto stile labronico – sottolinea – . Anzi, reinterpreterei proprio questo slogan, che fa parte della livornesità, come un inno alle libertà reciproche che ben si sposa con una città così tollerante come Livorno. Basta che questa libertà non disturbi il prossimo».

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