Allarme colesterolo per tre su dieci, il primario Emilio Pasanisi: «Ecco i valori da tenere d’occhio»
La nostra intervista al dottore Emilio Pasanisi, che fa il punto sul rischio cardiovascolare: «Esistono delle cure che permettono di ridurre di molto l’ipercolesterolemia arrivando anche a -65%». Come fare una corretta attività sportiva
LIVORNO. Secondo dati elaborati dall’Istituto Superiore della Sanità, in Italia il 21% degli uomini e il 23% delle donne è ipercolesterolemico mentre il 37% degli uomini e il 34% delle donne è sulla soglia limite. «Quando si parla di ipercolesterolemia la prevenzione deve sempre essere messa al primo posto: il colesterolo deve essere considerato all’interno di un punteggio complessivo che tiene conto anche di altri elementi, come il peso corporeo, la pressione arteriosa, il fumo, il diabete mellito e, soprattutto, la familiarità». Così Emilio Pasanisi, primario del reparto di Cardiologia dell’ospedale di Livorno.
Dottore, partiamo dalle buone pratiche per ridurre il colesterolo: quali sono?
«Il colesterolo è una presenza costante nella vita quotidiana e, sebbene si cerchi di controllarlo attraverso la dieta e l’attività fisica, i dati a nostra disposizione indicano che un’alimentazione povera di grassi, soprattutto di origine animale, come latticini, carne rossa e formaggi, unita a uno stile di vita sano, può determinare al massimo una riduzione del colesterolo pari al 20 per cento».
E si può considerare un buon risultato?
«Sì, ma i benefici si manifestano soprattutto nel lungo periodo: in sostanza, chi mantiene fin dalla giovane età uno stile di vita eccellente, in termini di alimentazione e attività fisica, beneficia nel tempo di una colesterolemia più bassa, e gli effetti positivi si rendono evidenti solo nell’età adulta, in particolare dopo i 60 anni. In altre parole, non conta solo la quantità assoluta di colesterolo che si riesce a ridurre, ma anche per quanto tempo questa riduzione si mantiene nel corso della vita. A 70 anni, quando i fattori di rischio hanno già agito a lungo, il vantaggio di una correzione purtroppo molto limitato e bisogna intervenire con i farmaci».
Quindi come possiamo combattere il colesterolo?
«Il colesterolo è influenzato dall’alimentazione, con l’esercizio fisico si favorisce l’aumento del cosiddetto “colesterolo buono” o HDL, il che rappresenta comunque un vantaggio. L’attività fisica, infatti, ha anche un’azione antiossidante: non conta solo la quantità di colesterolo presente nel sangue, ma anche la sua qualità, il suo grado di “ossidazione”. Attualmente non disponiamo di farmaci in grado di aumentare i livelli di HDL, perciò il nostro obiettivo deve essere quello di mantenerli stabili, evitando che si riducano».
Che tipo di attività consiglia?
«È consigliabile camminare a passo svelto per almeno tre ore alla settimana: la camminata coinvolge tutti i muscoli del corpo, ma anche attività come il nuoto, la bicicletta o la cyclette sono altrettanto valide. Ciò che va evitato è l’inattività durante la settimana, seguita da un’attività fisica concentrata solo nel fine settimana, come una partita di calcetto o padel con gli amici. È l’esercizio fisico quotidiano e costante a fare davvero la differenza».
Che dire dei valori?
«Faccio una premessa: nel passaggio dalle linee guida internazionali e italiane alla pratica clinica quotidiana, esiste una certa latenza. Purtroppo, molti laboratori di analisi continuano a indicare intervalli di colesterolemia non aggiornati o non corretti. Il primo errore da evitare, quindi, è affidarsi ciecamente agli asterischi presenti nei referti di laboratorio. Se le strutture sanitarie non stabiliscono criteri chiari e aggiornati, rischiamo di considerare come “normale” un valore di colesterolo che, in realtà, non lo è affatto. Questo è un problema fondamentale. Anche perché i valori di colesterolemia devono sempre essere interpretati alla luce del rischio cardiovascolare individuale».
Ad esempio?
«Se un paziente è affetto da diabete mellito da oltre dieci anni, soffre di insufficienza renale e presenta una storia clinica di ictus, coronaropatia o arteriopatia obliterante degli arti inferiori, viene automaticamente classificato come a rischio cardiovascolare molto alto. In questi casi, il livello di colesterolo LDL deve essere mantenuto il più basso possibile, idealmente al di sotto dei 55 milligrammi per decilitro (mg/dl) ».
E nel caso di persone a basso rischio?
«Può essere sufficiente un livello di LDL inferiore a 115 mg/dl. Se il rischio è moderato, il target si abbassa sotto i 100 mg/dl; per il rischio alto, sotto i 70 mg/dl; e, come detto, per il rischio molto alto, sotto i 55 mg/dl. Esiste infine una categoria ancora più critica, definita “a rischio estremo”, che riguarda persone che hanno subito due eventi cardiovascolari maggiori in un breve arco di tempo, ad esempio un infarto e un ictus nel giro di due anni: per loro, il colesterolo LDL dovrebbe scendere sotto i 40 mg/dl. Il problema è che i laboratori d’analisi non conoscono la storia clinica del paziente, e per questo non possono personalizzare i valori di riferimento. Quindi no, non basta che il colesterolo totale sia “sotto i 200” per stare tranquilli: il valore va sempre interpretato alla luce del rischio cardiovascolare individuale».
Come si cura il colesterolo?
«Fino a qualche anno fa avevamo a disposizione poche armi per contrastare l’ipercolesterolemia. Oggi, invece, possiamo contare su statine ad alta potenza, come l’atorvastatina e la rosuvastatina, che associate a un’altra molecola, l’ezetimibe, permettono di ottenere riduzioni molto più significative, arrivando fino al 65 per cento. Ma i progressi non si fermano qui».
Ci spieghi.
«Negli ultimi anni sono stati sviluppati nuovi farmaci, appartenenti a una classe innovativa: gli anticorpi monoclonali e gli inibitori dell’RNA messaggero. Si tratta di terapie iniettabili, somministrate per via sottocutanea attraverso siringhe preconfezionate, con una frequenza di una volta ogni 15 giorni o una volta al mese. Il loro bersaglio è la proteina PCSK9, coinvolta nel metabolismo del colesterolo LDL: bloccandone la produzione, si ottiene una marcata riduzione dei livelli di colesterolo. Un esempio di queste nuove molecole è l’inclisiran, che modula l’RNA messaggero responsabile della sintesi della PCSK9, in questi casi l’iniezione sottocute si fa in ospedale, ogni sei mesi. Questi trattamenti non sostituiscono le statine, ma si affiancano ad esse quando, nonostante la terapia tradizionale, non si riesce a raggiungere il target di LDL sotto i 55 dl o 40 dl raccomandato per i pazienti ad altissimo rischio e rischio estremo. In alcuni casi, si possono ottenere riduzioni del colesterolo LDL fino all’85 per cento. Un risultato straordinario».
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