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Il caso

Livorno, il Comune condannato a risarcire una dipendente per 200mila euro

di Giulio Corsi

	La sede del Comune
La sede del Comune

Demansionamento, mancate chances, danni biologici: i fatti dal 2015 al 2019

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LIVORNO. Il Comune di Livorno è stato condannato dalla Corte d’Appello di Firenze a risarcire una sua dipendente per 200mila euro (compresa la rivalutazione) per danno per demansionamento, danno biologico temporaneo e permanente, perdita di chance professionali, danno da inattività integrale.

La sentenza, datata 23 aprile, modifica quella precedente del giudice del lavoro del Tribunale di Livorno, che aveva condannato l’amministrazione ad un risarcimento di 11.560 euro. Ieri il consiglio comunale ha approvato la legittimità del debito fuori bilancio e il pagamento della somma.

I fatti risalgono all’epoca dell’amministrazione Cinque Stelle. La donna – dipendente del Comune dal 1993 – era inquadrata come funzionario D3, categoria contrattuale caratterizzata da attività di elevata complessità e difficoltà delle prestazioni, elevata specializzazione professionale e controllo dei risultati del settore. Davanti al giudice aveva lamentato che, dopo le elezioni amministrative del 2014, a partire dal 2015 c’erano state varie riorganizzazioni nel corso delle quali “in modo illegittimo” era stata soppressa la sua Posizione Organizzativa di alta professionalità “procedure espropriative” (aveva avuto l’incarico di coordinatrice tecnica del Lode, coordinando l'assemblea dei Sindaci per le decisioni sugli alloggi di edilizia residenziale pubblica).

La donna aveva lamentato che nell’ambito della medesima riorganizzazione, all’interno del nuovo ufficio tecnico patrimoniale e procedure espropriative, era stata sopravanzata da un tecnico privo di laurea e con inquadramento inferiore al suo. E ancora: di aver partecipato nel luglio 2015 alla selezione per posizione organizzativa all’Ufficio Anagrafe, ma che le era stata preferita una collega che fino ad allora aveva ricoperto incarichi di basso profilo. E poi di essere stata l’unica dipendente a chiedere di partecipare alla procedura selettiva per la assegnazione della PO Gabinetto del Sindaco, ma che nemmeno tale incarico le era stato assegnato. Proprio mentre – nel giugno 2015 – l’ufficio in cui era stata assegnata era stato spostato da piazza civica a via Marradi, senza però che lei fosse trasferita nella nuova sede, risultando così inoperosa e proseguendo nell’inattività anche quando nel settembre 2015 era stata anche lei portata all’ex Calamandrei. Stessa situazione di inoperosità che si era ripetuta al rientro dopo una lunga assenza per malattia nel maggio 2017. La donna aveva poi chiesto di essere assegnata ai servizi cimiteriali, ma anche qui con esito negativo, così come negativo era stato il risultato della selezione per posizione organizzativa dell’Associazionismo, assegnata poi a un impiegato con titolo di studio di perito aeronautico. E infine la lavoratrice lamentava di aver subìto la valutazione delle proprie performance da parte della sua dirigente, nonostante che in precedenza la stessa ricorrente avesse denunciato condotte lavorative della medesima dirigente.

Il Tribunale di Livorno le aveva riconosciuto il solo demansionamento da inattività totale del trimestre giugno-settembre 2015 (quando era rimasta a palazzo civico mentre il suo ufficio era stato spostato in via Marradi), con conseguente condanna del Comune al risarcimento del danno patrimoniale alla professionalità nella misura di 11. 560 euro, non riconoscendole invece il demansionamento successivo fino al 2018, respingendo il danno non patrimoniale considerato nella prospettiva della lesione della dignità della persona lavoratrice, respingendo anche il risarcimento del danno patrimoniale da perdita di chance, provocato dalla complessiva condotta datoriale illegittima, realizzata con la sua esclusione nelle successive selezioni per PO, e negando il danno biologico, temporaneo e permanente. Quattro punti su cui la Corte d’Appello ha dato valutazioni diverse. Riconoscendole l’inattività integrale per tre anni, con responsabilità datoriale per la non utilizzazione della dipendente, e poi un sottoutilizzo fino al 2019. La Corte ha dato ragione alla lavoratrice anche in merito alle mancate assegnazioni di PO nelle 4 selezioni: “I criteri per assegnare le PO avrebbero dovuto riguardare titoli culturali, attitudine personale e professionalità maturata”, si legge nella sentenza. 
 

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