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La storia

Ucciso dall’uranio impoverito, la figlia gli dedica la tesina d’esame

di Martina Trivigno

	Valentino Antonetti con Jessica Cervetto e con le figlie
Valentino Antonetti con Jessica Cervetto e con le figlie

Livorno, ecco l’omaggio di Sophia, studentessa di 14 anni: «Il sacrificio di mio padre per la libertà»

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LIVORNO. «Questa tesina è un omaggio a tutte le vittime del dovere. Come mio padre, paracadutista del 184° reggimento della Folgore, che ha sacrificato la sua vita per difendere lo spirito democratico della libertà».

Sophia Antonetti, 14 anni, ieri – 20 giugno – ha sostenuto l’esame orale di terza media alle scuole Mazzini. Di fronte alla commissione, ha parlato delle guerre balcaniche. Così lontane eppure tanto (troppo) vicine, motore di una tragedia che ha colpito e sconvolto la sua famiglia. Suo padre – il caporal maggiore capo scelto qualifica speciale Valentino Antonetti – è stato ucciso a 43 anni dall’uranio impoverito. Era il 26 aprile 2022 quando il militare – in forza al 184° reparto comandi e supporti tattici paracadutisti Folgore di Livorno – ha lasciato la moglie Jessica Cervetto e le due figlie, Sophia e Aurora, che oggi ha 9 anni, ancora troppo piccole, allora, per capire la portata degli eventi.

Un’agonia durata otto mesi e sei giorni dal momento in cui gli è stato diagnosticato un carcinoma timico, una neoplasia che si sviluppa nel timo, una ghiandola del sistema immunitario situata nel mediastino, dietro lo sterno. Poi il dolore, la rabbia, la paura. E la voglia di lottare perché non si muoia più per colpa dell’uranio impoverito, nemico subdolo e invisibile, un metallo pesante utilizzato principalmente nella fabbricazione di armi e munizioni.

Di per sé, l’uranio impoverito non sarebbe particolarmente pericoloso: lo diventa, però, quando prende fuoco a seguito del suo utilizzo, frammentandosi in piccole particelle polverose e potenzialmente tossiche, capaci di diffondersi nell’aria con una facilità estrema, mettendo a rischio la salute pubblica. È quindi altamente tossico se inalato, ingerito o se entra in contatto diretto attraverso le ferite provocate da armi da fuoco. «Negli anni mio marito ha visto tanti colleghi ammalarsi per colpa dell’uranio impoverito e, proprio come loro, ha condotto molte missioni: in Afghanistan, Iraq, Gibuti e due volte nei Balcani – racconta Cervetto – . Ma all’epoca nessuno poteva immaginare che potessero entrare in contatto con queste sostanze: loro, infatti, indossavano magliette a maniche corte e pantaloncini, al contrario degli americani che, invece, erano protetti. È così che i nostri militari sono venuti a contatto con questa sostanza cancerogena di cui loro non erano minimamente a conoscenza. Anzi, neppure erano stati messi a conoscenza della sua esistenza».

Ad agosto 2021 la vita felice della coppia – che si era sposata il 3 luglio 2010 e dal cui amore sono nate Sophia e Aurora – s’interrompe e tutto precipita all’improvviso. «Ricordo che mio marito, un ragazzone atletico e sportivo che non si lamentava mai, inizia ad accusare un fastidio al fianco – prosegue Cervetto – . Alla fine decidiamo di andare in ospedale e al pronto soccorso, dopo gli accertamenti, risulta che è già pieno di metastasi. Per lui non c’era nulla da fare se non una chemioterapia palliativa perché il tumore, dal timo, aveva già raggiunto gli organi principali».

Il 26 aprile di tre anni fa il caporal maggiore capo scelto qualifica speciale Valentino Antonetti se ne va per sempre, ma la moglie Jessica Cervetto inizia una battaglia di dignità perché sia riconosciuto ufficialmente che a uccidere il paracadutista sia stato l’uranio impoverito. «Quindici giorni dopo che gli fu diagnosticato il tumore, mio marito fece subito causa di servizio che lo Stato gli negò due volte – racconta Cervetto – . E quando ormai stava per morire mi disse: “Vai avanti, non fermarti, anche se dovrà passare tanto tempo prima che mi sia riconosciuta la sindrome dei Balcani”. E questa è diventata la mia missione. Per Valentino, per le mie figlie, per tutte le vittime». Con grande coraggio, Jessica Cervetto stringe la mano del paracadutista, mentre lo guarda negli occhi. Non ha bisogno di dirgli nulla perché ha già deciso: andrà fino in fondo. E quando il suo cuore smette di battere, decide di fare l’autopsia.

«I reperti autoptici di mio marito sono stati analizzati da due laboratori differenti, di cui uno dell’Università di Torino, ed è stata certificata la presenza del metallo pesante in quantità dieci volte superiore ai minatori che lavoravano nelle cave dell’uranio – evidenzia Cervetto – . Alla fine il ministero ha riconosciuto la causa di servizio, ora stiamo aspettando il riconoscimento dello status di vittima del dovere. È una magra consolazione, ma tanto devo a Valentino e a tutte le vittime che ci sono state e che spero non ci saranno più».

Così quando la figlia Sophia le ha detto che avrebbe voluto fare la sua tesina sull’uranio impoverito ha capito che questo sarebbe stato un altro tassello per questa battaglia che ha le sembianze, all’apparenza, di una piccola goccia che però, un po’ alla volta, può scavare la pietra.

In un ultimo dei ricordi di vita familiare felice, Valentino Antonetti entra in casa, indossa ancora la mimetica al ritorno dell’ennesima missione. Sulle spalle ha un grande zaino, da cui tira fuori dei pupazzi colorati che consegna alle sue due bambine, mentre loro gli corrono incontro e lo abbracciano. I suoi occhi sono pieni di gioia e orgoglio. Proprio con quello sguardo, pieno di amore e soddisfazione, avrebbe guardato la sua Sophia ieri, davanti alla commissione. Per ricordare lui, suo padre, vittima del dovere ucciso a 43 anni dall’uranio impoverito.
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