Con Matteoni sulle tracce di Mario Praz e il Palazzo delle Colonne a Livorno
Si tratta di un appuntamento del calendario estivo alla pinacoteca Servolini di Collesalvetti: ingresso gratuito
COLLESALVETTI Estate in Pinacoteca. Sabato 21 giugno alle 17 la 2° puntata del calendario culturale Àkanthos, promosso dal Comune, ideato e curato da Francesca Cagianelli con Stefano Andres e Emanuele Bardazzi, nel 140° di Gino Mazzanti, in occasione dell’importante mostra L’ora delle Lampade. Dialoghi di Aleardo Kutufà tra estetismo dannunziano, fantasmi crepuscolari e sogno del Medioevo, promossa dall’amministrazione, ideata e curata da Cagianelli, Andres e Bardazzi, in programma alla pinacoteca comunale Carlo Servolini dal 24 aprile al 7 agosto (complesso di Villa Carmignani, via Garibaldi, 79 / località Poggio Pallone – ingresso gratuito - tutti i giovedì, ore 15.30-18.30; anche su prenotazione per piccoli gruppi; info: 0586 980227-3926025703).
Il calendario culturale
«Fortemente voluto come diorama di novità nazionali e internazionali, il calendario si configura come una vera e propria fucina di curiosità e futuribili linee-guida per un ripensamento radicale della storia dell’arte del nostro Novecento», dicono gli ideatori. Non è un caso che il team scientifico, costituito da Francesca Cagianelli con Stefano Andres ed Emanuele Bardazzi, abbia individuato nell’edizione critica del volume Benvenuto Benvenuti. Un colloquio di Aleardo Kutufà d’Atene (Lucca 1944), una priorità scientifica talmente preziosa da coronare le idealità strategiche della mostra, proprio in quanto rara e sconosciuta testimonianza di una rilettura del divisionismo benvenutiano sull’onda non solo del magistero di Vittore Grubicy de Dragon, ma anche di predilezioni critiche e filosofiche che dall’estetismo di Angelo Conti e di Gabriele d’Annunzio si contaminano costantemente con le teorie schopenhaueriane e nietzschiane, senza tralasciare tutta una impalcatura teologica che dai Comandamenti di Mosé, il Corano, la Baghavad Gita, la Somma di Tommaso d’Aquino giunge fino alla Commedia dantesca, il Paradiso Perduto di Milton, il Giudizio Universale dell’Orcagna e di Michelangelo e le sinfonie di Beethoven.
Un testo sapido, eccentrico, inaspettato, emozionante, comunque di sconcertante trasversalità storico-critica, ritenuto quindi fondamentale in questa sede per rileggere nel XXI secolo artisti di estrazione livornese da troppo tempo sottratti a un’analisi ragionata che ne soppesasse l’effettiva statura e l’entità dell’aggiornamento in direzione internazionale, ma anche per riconfigurare una più aggiornata e articolata bibliografia relativa al Novecento labronico, in grado di diramarne a un ampio pubblico coordinate finalmente esaustive rispetto alle ormai usurate congetture di filiazione esegetica neofattoriana.
La conferenza di Dario Matteoni
La 2° puntata vedrà la conferenza di Dario Matteoni, storico dell’arte, ex assessore alla Cultura del Comune di Livorno, dal titolo “La casa della vita: dimore e collezionismo sulle tracce di Mario Praz. Il Palazzo delle Colonne a Livorno di Aleardo Kutufà: un viaggio nell’immaginario”.
Sulla scia dello straordinario ritrovamento del trittico intitolato dall’artista, La mia dimora distrutta. Il Palazzo delle Colonne a Livorno (Trittico 1: Il vestibolo; Trittico 2: Il salone, in vista: La stanza dei fondi oro; Trittico 3: Il salone, in vista: La sala da pranzo con Polittico), si snoda un’ambiziosa e inedita ricostruzione della temperie del collezionismo italiano, tra gli anni Dieci e gli anni Quaranta, improntata a un onnivoro sincretismo che nel caso di Kutufà ingloba il gusto ruskiniano del Medioevo, mentre per quel che riguarda Mario Praz privilegierà il timbro antiquariale ossessivamente orientato verso l’Empire forniture.
Impalmato dalla critica per il saggio La carne, la morte e il diavolo nella letteratura romantica (1930), concepito come un itinerario inaugurato all’insegna del Romanticismo europeo e destinato ad approdare al Decadentismo, Mario Praz (Roma, 1896-1982), saggista, anglista, scrittore, critico d’arte e giornalista, che inaugurerà la sua carriera culturale con una tesi sulla lingua di Gabriele d’Annunzio discussa nel 1920 presso l’Università di Firenze con Ernesto Giacomo Parodi, espresse la sua più autentica vena collezionistica in La casa della vita, pubblicato nel 1959 e dedicato al complesso di Palazzo Ricci.
Romanzo di innegabile impianto narrativo contaminato tuttavia dalla dilagante vocazione antiquariale, quest’ultimo enuncia i tortuosi meandri attraverso i quali l’itinerario squisitamente estetico di Praz si salda inscindibilmente con le sequenze biografiche e le tappe della propria carriera.
Ed è proprio sull’onda della configurazione di questa sorta di “museo vivo” che, da Kutufà a Praz, si possono recuperare le ragioni più intime di un gusto dell’abitare complesso, stratificato e per così dire riflesso dall’ambigua luce degli antichi specchi, nient’altro che una metafora dell’intricato tragitto stilistico di quei letterati e artisti che intesero fondere diverse le stazioni di una compagine estremamente trasversale del gusto europeo, dal Romanticismo al Decadentismo.