Il Tirreno

Livorno

L’intervista

Melanomi, Livorno sempre più caso nazionale: i dati choc, la cultura degli Scogli Piatti e cosa c’entra Monet

di Giulio Corsi

	Giovanni Bagnoni
Giovanni Bagnoni

La nostra intervista a Giovanni Bagnoni, primario di dermatologia all’ospedale di Livorno: «400 tumori nel 2024, più di uno al giorno. Ma qualcosa sta cambiando nei livornesi»

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LIVORNO. ​​​​​​È un giovedì mattina di fine maggio al secondo piano del quarto padiglione, tra le scale sorrette dalle impalcature e i soffitti tenuti in sicurezza dai puntelli. Decine di persone in sala d’attesa e nei corridoi aspettano di essere visitate da Giovanni Bagnoni e dalla sua equipe. È una scena che si ripete praticamente ogni giorno nel reparto di Dermatologia dell’ospedale. La fotografia di una città che detiene un drammatico record in Italia: quello dei tumori della pelle, in particolare dei melanomi.

«Da qui passano oltre 50mila persone l’anno – racconta il primario –. In questo momento qui accanto due ambulatori stanno facendo piccola chirurgia, al piano di sotto in altri due ambulatori si stanno eseguendo le biopsie. Ieri sera uno dei nostri era a visitare i migranti, poi c’è l’attività del Cord. E abbiamo la fortuna di avere distretti che lavorano bene e ci aiutano ad abbattere i tempi di attesa».

Bastano pochi numeri per capire l’entità del problema: «Facciamo duemila day surgery l’anno e oltre 300 linfonodi sentinella – dice Bagnoni –. Più del 40% dell’attività dell’anatomia patologica dell’ospedale arriva dalla Dermatologia. Mandiamo ad analizzare 12mila istologici di cute ogni anno: è vero che sono “pezzi” piccoli, ma un tumore della pelle non ha bisogno di essere 2 chili, un melanoma di un millimetro può uccidere».

Dottor Bagnoni, Livorno continua ad essere è un caso in Italia.

«Purtroppo sì. Ogni anno scopriamo 400 melanomi, è la prima casistica d’Italia in rapporto ai residenti».

Più di un melanoma al giorno.

«Di questi 400 quasi la metà sono sottili, ciò significa che sono più curabili. Ma il numero continua ad aumentare».

Lei è arrivato all’ospedale di Livorno nel 1993 come allievo del professor Crudeli in un reparto che era già all’avanguardia: qual è stato l’incremento che ha potuto registrare?

«Esponenziale. Nel’93 facevamo 12 melanomi in un anno con 7 medici, nel 2024 ne abbiamo fatti 400, sempre sette medici».

I problemi di organico sono purtroppo diffusi in molti reparti.

«Le difficoltà per il numero dei medici e per la struttura esistono, chi viene da fuori e si vede davanti le impalcature rimane interdetto, poi però trova un’organizzazione che funziona. Abbiamo dotazioni strumentali ottime, medici esperti e i dati confermano che siamo un gruppo di specialisti altamente performanti. E stiamo arruolando giovani, grazie a rapporti stretti con Pisa, col Sant’Anna, col Cnr. La ricerca ha una ricaduta assistenziale diretta. I giovani specializzandi qui riescono a vedere una quantità di patologia che non vedrebbero mai. Far parte della rete formativa dell’università è fondamentale perché dove c’è ricerca l’assistenza migliora».

Insomma il sistema regge nonostante i pazienti crescano, i medici manchino e l’edificio mostri palesemente i suoi quasi 100 anni.

«Cerchiamo di fare il massimo. Abbiamo difficoltà sui tempi di attesa perché la richiesta è moltiplicata, al pari dell’aumento dell’incidenza dei tumori. Cerchiamo di sfruttare tutti gli spazi utili dell’ospedale. Io opero ovunque ci siano sale, qui al 4° padiglione, a Massa, al San Camillo. Se al paziente prospetti un percorso garantito, si sposta volentieri di 40 chilometri. L’area vasta è stata un’opportunità in un momento in cui l’ospedale ha un deficit strutturale evidente. Ma dal punto di vista delle professionalità questo ospedale non è secondo a nessuno e credo che il ragionamento possa essere allargato a moltissime altre branche».

Torniamo all’aspetto clinico: più controlli si fanno, più tumori si trovano. È per questo che siamo arrivati a 400 melanomi l’anno?

«Le cattive abitudini permangono, la gente continua ad andare al sole ma si controlla di più».

Lei ha sempre sostenuto che il problema sia culturale.

«È l’abbronzatura a tutti i costi, quel rito di vivere sui bagni dalla mattina alla cena, o di passare giornate intere sugli scogli. L’idea che prendere il sole sia benefico è malsana».

Lei da anni lancia l’allarme e fa appelli alla prevenzione. Non è cambiato niente?

«I livornesi ascoltano, ma poi non ti seguono. Continuano a prendere troppo sole, ma almeno vengono a farsi visitare. Dunque è aumentata la richiesta di diagnosi, che insieme al miglioramento della capacità diagnostica permette di trovare melanomi sempre più piccoli, dunque più curabili. Ma il numero aumenta».

L’abbronzatura per molti è sinonimo di bellezza. E benessere.

«È difficile incidere sulla mentalità delle persone. La cultura cambia: siamo passati dalla colazione sull’erba con l’ombrellino delle donne di Monet, che si riparavano dai raggi perché il sole era roba da classi lavoratrici che lavoravano i campi, a Chanel che negli anni 50 ha proposto il mito dell’abbronzatura come simbolo di bellezza e benessere. Noi oggi contrapponiamo alla colazione sull’erba gli Scogli Piatti e il Romito».

Quali sono le età con maggiore incidenza?

«Vediamo melanomi a tutte le età, ma sono i giovani-adulti i più colpiti, maschi e femmine in egual misura. La fascia tra i 40 e i 65 anni è quella che ha la massima incidenza. D’altra parte le creme protettive arrivano in Italia nella prima metà degli anni 90. Prima c’erano due protezioni solari. Tutta le generazioni precedenti sono a rischio. A Carrara con i miei coetanei abbiamo passato estati sul relitto della motonave Montone: ci siamo ustionati tutti, io per primo e infatti siamo la generazione che ha pagato il pegno più alto».

E invece bambini e ragazzi sono quelli più a rischio.

«Le scottature solari nell’infanzia incrementano il rischio di malattie della pelle in età adulta».

Il problema culturale si batte con l’educazione e la sensibilizzazione. State facendo molte campagne nelle scuole: crede che possa essere la chiave di volta?

«Bisogna impegnarci coi giovani, con gli studenti, con gli insegnanti specialmente delle scuole primarie. Come insegniamo ai bambini a lavarsi i denti, così bisogna spiegare loro che vanno usate le creme e che non si deve stare al sole nelle ore più calde».

Le creme sono un salvavita?

«Attenzione: è necessario esporsi ai raggi del sole con le dovute regole: l’utilizzo della crema protettiva è importante ma non basta, perché limita il danno ma non lo esclude. Tra l’altro generalmente viene usata una quantità inferiore a quella necessaria e molti smettono di usarla non appena sono abbronzati. La protezione non deve mai essere inferiore a 20 e deve essere usata in dosi adeguate e rimessa a più riprese. Ma è fondamentale evitare le ore più calde, dalle 11 alle 15, che ustionano tanto e abbronzano poco».

La maggior sensibilità ai controlli porta a individuare melanomi sempre più precoci. E curabili.

«Quasi la metà dei melanomi che vediamo sono in situ e si curano con interventi di pochi minuti. Gli stessi melanomi intercettati un anno dopo ci costringerebbero a una chirurgia maggiore, radioguidata e poi alle terapie seguenti. Che sono straordinarie rispetto ad anni fa, ma hanno costi elevati e tempi lunghi. Il mio lavoro è non farli arrivare dall’oncologo». 
 

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