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L'intervista

Social, under 35 sempre più dipendenti. Lo psicologo: «C’è chi compra pacchetti di follower»

di Martina Trivigno

	Nicola Artico
Nicola Artico

Artico (Asl): «È un segnale della continua ricerca della conferma esterna di se stessi». I consigli per le famiglie

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LIVORNO. È in aumento la richiesta di assistenza psicologica da parte dei giovani adulti. In altre parole il disagio psicologico non riguarda soltanto gli adolescenti, ma anche la fascia d’età 20-35 anni: è quanto emerge dallo studio dell’Ordine degli psicologi in collaborazione con il Laboratorio di Psicometria del Dipartimento Neurofarba (Università di Firenze). In pratica – in base alle interviste rivolte ai professionisti della nostra provincia – sono sempre di più i pazienti giovani adulti che si rivolgono allo psicologo per abuso di internet, ansia e problemi relazionali. Ma per Nicola Artico, il direttore dell’Unità operativa Psicologia dell’Asl Toscana nord ovest, non è poi così strano. «Perché quella è la fase in cui bisogna essere più performanti: sul lavoro, nella vita privata dove, per la prima volta, si devono affrontare tutta una serie di richieste relazionali, familiari, socioeconomiche, ma senza avere tutta l’esperienza necessaria», evidenzia.

Dottore, parliamo delle nuove dipendenze, dall’abuso di internet e dei social: non riguarda solo gli adolescenti quindi?

«È vero e questo è riscontrato anche dall’Osservatorio clinico dei servizi. L’impatto della rete è potentissimo: lo strumento che hanno in mano i nostri ragazzi, a volte fin da piccolini, è costruito per generare dipendenza. Le piattaforme che abitano i nostri telefonini, che sia Instagram o Facebook o anche le stesse chat, tendenzialmente sono mirate a tenere attaccato il più possibile l’individuo al telefono. E così gli algoritmi propongono ciò che più interessano: infatti hanno appreso dall’uso che anche il bambino, il ragazzino o l’adulto fa delle piattaforme, quali sono i suoi gusti».

Con quali conseguenze?

«Il sistema non è pensato soltanto per il cervellino dei bambini, ma in generale è pensato per il cervello umano. Quindi vale anche per il giovane adulto super digitalizzato. Ecco, dobbiamo puntare ad avere una maggior alfabetizzazione psicologica sull’uso dei nostri device. Io, ad esempio, ho avuto pazienti adulti, nella fascia d’età 25-35 anni, che compravano pacchetti di follower. Questo a dimostrazione della dipendenza legata dalla conferma esterna di se stessi che arriva da quella piattaforma social. Anche perché i giovani adulti di oggi sono cresciuti con questa invadente intermediazione dei device dove le interazioni anche socio-affettive sono mediate da faccine, parole scritte e meme».

Un modo completamente diverso rispetto a quello di trovarsi faccia a faccia e manifestare i propri sentimenti.

«A volte, ad esempio, non si parlano pur essendo nello stesso luogo ma chattano da una stanza all’altra: è questo il modo in cui hanno costruito emotivamente i rapporti. È stata così costruita una sintassi comunicativa fatta di dubbi e attese. Ed è vero che, paradossalmente, i giovani adulti di oggi riescono a regolarsi meglio con l’uso della piattaforma rispetto a quando si trovano faccia a faccia perché, faccia a faccia, tutta quella sintassi non esiste e, soprattutto, c’è meno allenamento a gestire le parole dell’altro e anche il non verbale dell’altro. È verità quello che disse il sociologo polacco Zygmunt Bauman».

Cosa in particolare?

«Un tempo, prima di interrompere una relazione di coppia, c’erano momenti faticosi, di sofferenza reciproca e di parole. Ora, invece, basta un tasto “delate”, ovvero “cancella”. Questo spiega perché è più complicato per alcuni affrontare le relazioni dal vivo con tutta la parte verbale e non verbale, l’interazione immediata che comporta, mentre invece nel telefonino c’è tempo per pensare, riflettere, cancellare e quindi riscrivere».

Che dire invece dell’aumento dell’ansia tra i giovani adulti?

«Intanto premetto che l’ansia di per sé non sarebbe una malattia, ma una risposta sana a un contesto particolare. Il disturbo d’ansia è quando c’è una generalizzazione di questo stato d’animo in assenza o in moderata presenza di stimoli ansiosi. Il punto, però, è che noi viviamo in questo momento storico di forte incertezza: assistiamo quindi a un picco di stimoli in un contesto che è particolarmente denso di incertezze familiari, extra familiari, mondiali. E questo sicuramente non favorisce la gestione dell’ansia, ma la alimenta».

È legato anche a questo l’aumento nell’utilizzo di psicofarmaci e antidepressivi?

«L’antidepressivo non si usa soltanto per contenere una flessione depressiva che può essere in aumento, ma ha anche una funzione nel discontrollo degli impulsi cercando di regolare l’umore e dunque inibire anche l'irritabilità».

Cosa possiamo consigliare alle famiglie di oggi?

«Ci si può difendere da questi processi ansiosi e dai meccanismi che lo attivano più come comunità che come singoli. Sarebbe importante amministrare meglio i device a scuola, ad esempio, ma questa è una scelta di comunità, non della singola famiglia. Aiuterebbe aumentare investimenti per gli operatori della salute psicologica, per essere più proattivi verso le persone nelle varie fasi di vita del loro ciclo familiare. Di fondo la salute mentale è nelle relazioni, non dentro la scatola cranica».

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