Il Tirreno

Livorno

A tavola

La fiaschetteria toscana ritrovo di Carducci e Pascoli dove i clienti non pagano il coperto

di Franco Marianelli
i due titolari
i due titolari

Il locale tra aneddoti storici e cimeli: «Qui si veniva a cercare pace e buon cibo: così è anche oggi»

3 MINUTI DI LETTURA





LIVORNO. E chissà se “La cavalla storna” oppure “Davanti San Guido” siano stati composti dai rispettivi autori, Giovanni Pascoli e Giosuè Carducci, durante un pasto comune alla Fiaschetteria da Pilade di via Maggi tra un cacciucco e un ponce.

A fine ’800 era il ritrovo livornese dei due sommi poeti, il primo in città quando era insegnante al liceo Guerrazzi-Niccolini e l’amico letterato spesso a Livorno a trovare la figlia Beatrice che aveva sposato Carlo Bevilacqua, docente di matematica al liceo dal 1887 al 1895, lo stesso periodo in cui vi insegnava Giovanni Pascoli, appunto.

Ieri. Oggi. Il locale è da cinque anni tornato al vecchio nome, quello delle origini. Questo grazie ai nuovi gestori Claudio Boarini e Simone Lovisolo che hanno trasformato lo storico ritrovo riproducendo arredi d’antan proprio come nei tempi nei quali i due poeti e scrittori frequentavano il locale per i loro pasti quotidiani. C’è una targa sul muro (a firma Gippi) che ricorda con toni aulici il Carducci come “audace e sublime nel suo ritmo d’Orazio” e il Pascoli come “virgilianamente ispirato e mite”. Un tuffo nei sapori, nei libri e in quella storia che vede i sommi poeti lì ritrovarsi, nella cosiddetta “stanza della scienza”. È ancora la targa a raccontarli: “Tra gli anni 1890-1897 trovarono spesso l’invocata ora tranquilla nell’ospitale brio di gente livornese e l’ispirazione per i loro carmi nel rubino frizzante del bicchiere toscano”.

E chissà se anche il maestro Pietro Mascagni, anche lui frequentatore del locale, non abbia composto qualche sua aria magari ispirato dalle “acciughe povere” del buon Pilade (Cipriani), lo storico oste. «Potrebbe essere possibile che qualcuna fra le loro opere possa essere nata qui – ammette Boarini – anche se sembra che il Pascoli abbia dichiarato che le ispirazioni gli venivano di più in un’altra trattoria che frequentava, in via dell’Indipendenza».

Sul bancone una cartolina, souvenir per i clienti, che riporta fedelmente il testo di una missiva che lo stesso Pascoli inviò dalla Sicilia, regione nella quale si era trasferito. La scrisse all’oste livornese chiedendo che gli inviasse quel “buon vino rossaccio”. È datata 2 febbraio 1902. «Qui Pascoli, Carducci e Mascagni cercavano, oltre al buon cibo, anche un po' di pace dai loro impegni quotidiani. E noi – aggiunge Lovisolo – abbiamo voluto ricreare la stessa atmosfera di rilassatezza. “Relax per i clienti” è infatti la nostra parola d’ordine». E sul menù è riportata una considerazione dei due soci sul cosiddetto “coperto”: «Le taverne erano un luogo ove il viandante oltre che cercare buon cibo e buon vino, cercava anche un rifugio delle intemperie, dalle giornate fredde e piovose (desiderando appunto di essere “coperto”) e magari anche di incontrare altre persone con le quali relazionarsi. - si legge - Era permesso addirittura di portarsi il cibo da casa facendo pagare, appunto, solo il “coperto”. Ora noi speriamo – si legge ancora sul menù – che il cibo non ve lo siate portato dietro, in compenso noi il coperto noi non ve lo facciamo pagare”.

Chi lavora oggi in Fiaschetteria? «Noi due, poi abbiamo un valido aiuto nella figura di Lorenzo Vallati e sino a poco tempo fa in quella di Virginia Falchini». Come da tradizione nel locale ancora oggi si fa la “cucina della nonna”. «Serviamo vecchi piatti tradizionali del tempo che fu – rispondono all’unisono i due soci – in pratica a cucina localistica anche se non mancano piatti di altre regioni».

Il menu

Esempi? «Minestra di pesce, bordatino, collo ripieno, riso nero, grandinina di piselli, bracioline indorate e fritte. Per quanto riguarda i piatti “stranieri” la nostra specialità è lo “’ndunderi”, un impasto di cacio cavallo e uova originario di alcune zone del nostro meridione». E Boarini racconta un aneddoto: «Vidi un signore che, dopo aver pranzato, aveva le lacrime agli occhi e mi venne spontaneo chiedergli il motivo. E lui che rispose: “mi ha fatto venire in mente la minestra di pesce che mi cucinava la nonna”», chiude.

Primo piano
L’incidente

Calcinaia, muore incastrato tra la motozappa e un ulivo: chi è la vittima

di Andreas Quirici
Sani e Belli