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Sicurezza: il caso

Livorno, trovato in carcere il cellulare più piccolo del mondo


	Il carcere di Livorno (Foto d'archivio)
Il carcere di Livorno (Foto d'archivio)

La denuncia da parte del sindacato di polizia penitenziaria: «Servono strumenti tecnologici per contrastare comportamenti illeciti»

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LIVORNO. Nel carcere di Livorno è stato rinvenuto uno dei cellulari più piccoli al mondo, grande appena 7 centimetri. Il ritrovamento solleva preoccupazioni crescenti sulla sicurezza all’interno degli istituti penitenziari italiani. A evidenziare il problema è il segretario generale del Sindacato Polizia Penitenziaria (S.PP.), Aldo Di Giacomo, che denuncia il costante utilizzo di tecnologia avanzata da parte della criminalità organizzata per introdurre telefoni cellulari nelle carceri.

Tecnologia al servizio della criminalità

Secondo Di Giacomo, la criminalità organizzata ricorre a strumenti sofisticati, come droni e telefoni di dimensioni ridottissime, per recapitare dispositivi direttamente nelle celle. La scoperta del microcellulare è solo l’ultima prova di un problema dilagante: una media di trenta telefoni cellulari viene sequestrata ogni mese nelle carceri italiane, segno di un mercato illecito in continua espansione. «Le tecnologie avanzate, come droni praticamente invisibili ai sistemi di controllo, facilitano l’introduzione di questi dispositivi», ha dichiarato Di Giacomo. Tuttavia, l’assenza di strumenti adeguati da parte dell’amministrazione penitenziaria rende difficile contrastare il fenomeno, affidando gran parte della prevenzione alla professionalità degli agenti di polizia penitenziaria.

Il pericolo delle comunicazioni illecite

Il problema dei telefoni cellulari in carcere non si limita alla violazione delle regole interne. Come sottolinea il segretario del S.PP., i boss mafiosi e altri detenuti usano i dispositivi per impartire ordini ai complici all’esterno, spesso coordinando operazioni criminali, estorsioni e traffici illeciti. Le indagini condotte in tutta Italia hanno dimostrato che i dispositivi elettronici introdotti clandestinamente sono strumenti fondamentali per mantenere il controllo del territorio, trasformando le celle in centrali operative per il crimine organizzato.

Un decreto inapplicato e pene inefficaci

Nonostante il decreto legge n. 130, in vigore dal 21 ottobre 2020, preveda pene da uno a quattro anni per l’introduzione e il possesso di cellulari in carcere, l’applicazione della norma rimane parziale. «I detenuti in possesso di telefoni cellulari sanno che difficilmente subiranno una nuova condanna», ha evidenziato Di Giacomo. Questa impunità de facto alimenta il mercato nero dei dispositivi mobili, con gravi conseguenze per la sicurezza pubblica. La presenza di telefoni nelle carceri non rappresenta solo una violazione delle regole, ma un rischio concreto per i cittadini, dato l’uso che ne viene fatto per coordinare attività criminali.

Una sfida urgente per la sicurezza penitenziaria

Di Giacomo conclude il suo intervento ribadendo la necessità di intervenire con urgenza per fermare il traffico di telefoni cellulari nei penitenziari italiani. «Fermare il mercato dei telefonini che produce effetti devastanti sulla sicurezza dei cittadini non è solo necessario, ma anche possibile», ha affermato. La richiesta è chiara: dotare le carceri di strumenti tecnologici capaci di intercettare i dispositivi elettronici e bloccare i droni, per contrastare efficacemente un problema che minaccia la sicurezza di tutti.

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