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Livorno, incontro col sopravvissuto di Capaci: «Ai ragazzi dico che il bullismo è mafia» – Video

di Luca Balestri
Il terribile attentato al giudice Giovanni Falcone e Angelo Corbo uno dei sopravvissuti della strage di Capaci
Il terribile attentato al giudice Giovanni Falcone e Angelo Corbo uno dei sopravvissuti della strage di Capaci

Angelo Corbo, il poliziotto della scorta del magistrato ucciso il 23 maggio 1992 presenta oggi il suo libro su paradossi e omissioni al Teatro 4 Mori e al Tirreno: «Ricordo Falcone triste e solo, sapevamo che ci avrebbero attaccati»

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LIVORNO. Angelo Corbo era nella scorta del giudice Giovanni Falcone il giorno dell’attentato che gli è costato la vita, il 23 maggio 1992. Oggi Corbo – che è in pensione – sarà in città per presentare il suo libro “Strage di Capaci. Paradosso, omissioni e altre dimenticanze”.

Sarà il suo primo racconto pubblico a Livorno. La mattina al Teatro 4 Mori con i ragazzi delle scuole medie. Nel pomeriggio, alla 16.30, sarà nel salone del Tirreno aperto al pubblico, dove verrà intervistato dal direttore Cristiano Marcacci.
 


«Questo libro è un testamento per i miei nipoti e per tutti i ragazzi», dice l’ex agente.

Corbo, perché ha scritto questo libro?

«Il libro nasce dalla voglia di raccontare una storia di vita da chi quella storia l’ha vissuta sulla sua pelle. Il racconto inizia dall’infanzia del protagonista, per poi passare alla scelta di diventare poliziotto. E il fulcro ovviamente è la strage di Capaci, da cui è venuta fuori la solitudine».

Spieghi meglio cosa intende per solitudine in questo caso.

«C’è stato un abbandono verso chi in quel momento doveva riuscire a superare dei traumi, un distacco. Quasi come se si pensasse che per qualcuno era meglio non avere testimoni, persone legate a questa storia. Fino ad arrivar all’isolamento dei testimoni».

Ma chi avrebbe beneficiato di questo isolamento?

«Non spetta a me dirlo. Sicuramente è triste per chi è vittima, perché comunque si sente la sindrome dell’abbandono, ma anche la colpevolezza. Ci si sente colpevoli di qualcosa che non è. Viene a mancare la solidarietà. E questo libro racconta come tutti possiamo fare un mestiere pericoloso, trovarsi in una situazione pericolosa, e poi sentirsi fuori da tutto».

Che ricordo ha del giudice Falcone?

«Lo ricordo come un uomo triste e solo. Era così già prima di subire l’attentato, che ci si aspettava. Eravamo consapevoli che prima o poi sarebbe successo, ma non sapevamo né dove, né quando, né tantomeno le modalità».

Lei ha riportato delle ferite quel 23 maggio 1992?

«Ho riportato delle fratture, ma soprattutto dei traumi. Il problema delle ferite è che si parla solo della parte visibile. Ma quelle più gravi e invalidanti sono la parte psicologica e psichiatrica. E per ottenere i riconoscimenti per questa parte ho dovuto lottare con i denti».

Ai ragazzi delle scuole come spiega la mafia?

«Da quindici anni divulgo la cultura della legalità, e non racconto la mafia, ma il comportamento mafioso».

E la differenza qual è?

«ll comportamento mafioso indica che tutti quanti nel nostro piccolo siamo mafiosi in alcune circostanze della nostra vita. Per farlo capire, soprattutto alle scuole medie, parlo del bullismo. Anche questo è un comportamento mafioso: i personaggi principali sia della mafia che del bullismo si somigliano nel modo di fare e di pensare. Quando non abbiamo rispetto per gli altri siamo mafiosi. È un concetto difficile perché quando si pensa alla mafia si pensa soprattutto a quella delle stragi, ma oggi ci sono dei comportamenti legati ai vari territori».

Di solito che risposta trova dagli alunni che incontra?

«Nelle scuole l’accoglienza è sempre positiva, soprattutto quando i ragazzi sono già stati preparati prima dell’incontro. Perché affrontare la mafia se non si è preparati è complicato, magari è un argomento che non hanno mai sentito. Se ho davanti delle tele bianche è difficile disegnarci».

Oggi la mafia ha cambiato faccia rispetto agli anni Novanta.

«Oggi è meno evidente rispetto ai miei tempi. Cambiano anche le parole, oggi si parla di tangente e non di pizzo, ed è nella maggior parte del territorio (italiano, ndr). Purtroppo la mafia si sposta, nei posti dove si possono fare affari, quindi al centro-nord. In Toscana, in Emilia Romagna, in Lombardia, in Piemonte, come hanno evidenziato le indagini dei procuratori».

A un ragazzo che vuole diventare poliziotto cosa direbbe?

«Dico che questo è un mestiere particolare, pieno di sacrifici, che non arricchisce economicamente. Se uno vuole fare un percorso onesto, la strada è piena di sacrifici, ma ti dà ricchezza quando riesci ad aiutare qualcuno».

Tornasse indietro rifarebbe il poliziotto?

«Anche se quello che ho passato mi farebbe dire di no, soprattutto l’abbandono, lo rifarei. Per me essere poliziotto era una ragione di vita, un modo per riprendere e far riprendere a chi da solo non riesce la propria dignità».

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