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Livorno, giovane massacrata di botte ad Antignano: anche l’ex compagna dell’aggressore a processo

Stefano Taglione
I due intervistati da "Chi l'ha visto?"
I due intervistati da "Chi l'ha visto?"

La donna secondo l'accusa è stata «colpita con una spranga di ferro alle gambe, all’addome, al volto e alla testa»

23 aprile 2023
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LIVORNO. È a processo per maltrattamenti in famiglia e favoreggiamento personale per aver picchiato, insieme al convivente, la fidanzata di quest’ultimo. E per averlo aiutato dicendo che lui in questa vicenda non c’entrava niente. Lui, in particolare, è già stato condannato a quattro anni e otto mesi di reclusione in rito abbreviato per averla colpita con calci e pugni, afferrata per il collo, minacciata di morte e presa a sprangate e bastonate, mandandola all’ospedale. In particolare, il 14 ottobre del 2020 la vittima – una trentottenne di Pontedera – era finita al pronto soccorso con un’ambulanza chiamata dall’imputata dopo essere stata «colpita con una spranga di ferro alle gambe, all’addome, al volto e alla testa – si legge nella richiesta di rinvio a giudizio della procura – che hanno comportato la fuoriuscita di sangue, fratture costali e nasali ed ematomi vari con una prognosi di 25 giorni».

Una condanna

È una storia inquietante quella finita davanti al collegio presieduto dal giudice Luciano Costantini (a latere i colleghi Andrea Guarini e Roberta Vicari), che vede come unica imputata una cinquantaduenne piombinese, da tempo trasferitasi ad Antignano, visto che il convivente era accusato insieme a lei di aver maltrattato la trentottenne ed è in carcere. Per lo stesso procedimento, infatti, l’uomo è stato condannato in primo grado a quattro anni e otto mesi di reclusione, con l’interdizione per cinque anni dai pubblici uffici e la misura di sicurezza della libertà vigilata, dopo l’esecuzione della pena, per due anni, con l’obbligo di terapie e programmi in una struttura sanitaria ad alta intensità di cura. Il Tirreno omette di rendere identificabili tutte le persone coinvolte nella vicenda per non rendere riconoscibile la donna vittima delle percosse, che subito dopo l’aggressione di due anni e mezzo fa venne trasferita in una struttura protetta.

Il caso su Rai 3

Del caso si occupò anche la trasmissione “Chi l’ha visto” un mese dopo l’accaduto, visto che la famiglia della vittima non aveva più avuto notizie della trentottenne e per questo si era rivolta a Rai 3. In realtà, la donna che ha denunciato di essere stata picchiata, voleva solo rimanere nell’anonimato perché doveva sì allontanarsi, ma dai presunti aguzzini. Ed era senza cellulare, visto che come ricostruito della Squadra mobile della polizia di Stato, che coordinata dalla procura ha avviato l’inchiesta, il suo telefonino sarebbe stato venduto proprio dall’allora fidanzato e dalla convivente al prezzo di 30 euro, soldi con i quali l’uomo si sarebbe comprato un amo e dei bachi da pesca. «Te hai ammazzato mio figlio e le pu**ane vanno ammazzate», sarebbe stata una delle frasi intimidatorie che l’allora compagno avrebbe rivolto alla giovane mentre la stava prendendo a sprangate.

La testimonianza

Nel corso dell’ultima udienza in tribunale hanno parlato due degli agenti che all’epoca dei fatti avevano svolto le indagini: «All’inizio la giovane era confusa e dolorante, non sapeva spiegarci cosa fosse successo – le parole di uno di loro – poi, dopo che era stata presa in carico dai servizi sociali del Comune e trasferita in una struttura protetta, si è convinta a parlare, indicandoci i due presunti aggressori. Era molto spaventata, tanto che inizialmente non aveva telefonato nemmeno al fratello per avvertirlo di quanto accaduto (per questo la famiglia si era rivolta a “Chi l’ha visto” ndr). Noi le due persone le abbiamo trovate ad Antignano, insieme a un loro amico. Nella loro casa c’erano coperte e lenzuola sporchissime, con tracce ematiche importanti». Il poliziotto, rispondendo alle domande dell’avvocata dell’imputata, la piombinese Elena Parietti, ha precisato che «le tracce ematiche risalgono a diverso tempo dopo» le presunte percosse e che i reperti «sono state sequestrati». «La donna – ha poi spiegato una collega dell’agente – aveva tumefazioni al volto, come il naso gonfio, e inizialmente noi avevamo pensato che ci fosse stata una rapina. All’inizio ci ha detto che lei era la figlia dell’imputata, ma era in stato confusionale ed entrava continuamente in contraddizione». Dopo i primi accertamenti, e lo spostamento della coppia in Puglia, la Squadra mobile aveva arrestato l’uomo e denunciato la cinquantaduenne. l

S.T.

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