Il Tirreno

Livorno

L’iniziativa

Le idee vive di un profeta evangelico, quanto ci manca un Don Milani

Andrea Rocchi

	Un momento della presentazione (foto Daniele Stefanini/Silvi)
Un momento della presentazione (foto Daniele Stefanini/Silvi)

All’Hotel Palazzo tanta gente per il convegno della Diocesi per la celebrazione del priore di Barbiana a cent’anni dalla nascita

22 aprile 2023
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Livorno Quanto manca, oggi, un don Milani? E quanto farebbe bene alla Chiesa?
Perché se è vero, come lo stesso priore di Barbiana ammetteva, che don Lorenzo era cinquant’anni avanti, allora nel suo essere prete, e santo come lo ha “battezzato” monsignor Bassetti, era anche un profeta. Bastano le “Esperienze pastorali” e la “Lettera a una professoressa” per darci la misura dell’eredità immensa che ancora oggi, a 56 anni dalla sua scomparsa, il prete fiorentino ci lascia in campo pedagogico, politico, sociale. E più in generale come uno dei maggiori intellettuali del secondo Novecento.
«Di profezia, certo, c’è un grande bisogno _ risponde il vescovo di Livorno Simone Giusti alla provocazione di Cristiano Meoni, vicedirettore del Tirreno e moderatore dell’incontro _; ma il fatto è che bisogna riconoscerli, oggi, i profeti. Come don Tonino Bello, del resto. Oggi bisogna cogliere i profeti quando loro sono in mezzo a noi».
Si discute di Milani, don Milani, all’hotel Palazzo all’appuntamento organizzato dalla Diocesi di Livorno nel centenario della sua nascita. L’occasione è il libro del giornalista Mario Lancisi “Don Milani, vita di un profeta disobbediente” presentato da monsignor Paolo Razzauti alla presenza dell’autore, del presidente emerito della Cei il cardinale Gualtiero Bassetti. Con gli interventi di Elisa Amato, ex Provveditore agli Studi di Livorno e Alessandro Cosimi, ex sindaco di Livorno. Salutano il sindaco Luca Salvetti e il vescovo Simone Giusti.
Tutti d’accordo nel sostenere che don Milani non può essere tirato per la giacchetta da una parte o dall’altra, perché di etichette in questi anni gliene sono state appiccicate addosso a bizzeffe. Le ricordava proprio monsignor Bassetti: il “prete anomalo”, il parroco “dei poveri”, il pedagogista, il “dominatore delle coscienze”, fino alla più popolare il “prete rosso”. «Tanti hanno provato a cucirgli addosso un abito che non era il suo», ha detto l’arcivescovo. Come l’operazione di circoscrivere il suo pensiero a una o più correnti o ideologie. «Don Lorenzo aveva un pensiero sempre in evoluzione. Il suo era un sentirsi prete fino in fondo con l’obiettivo di dire sempre la verità a qualsiasi creatura incontrasse». Non era rosso. E anzi, ai comunisti, non ne risparmiava. Eppure amava i poveri in modo incondizionato e riteneva che il loro riscatto passasse attraverso la scuola, l’educazione e la cultura. Amava dire: «Fai strada ai poveri senza farti strada». Non era un sociologo marxista. Per lui l’ingiustizia sociale non era cattiva perché offendeva i poveri ma perché “offendeva Dio”. E così anche la sua disobbedienza - oltre a Bassetti lo rammentavano Cosimi e lo stesso Lancisi – non era contrapposizione, frattura quanto piuttosto “il riaffermare il primato della propria coscienza di fronte alle ingiustizie”.
Figura complessa, non lineare, un ”anguilla” non classificabile se non inquadrato nel suo tempo, don Lorenzo è stato ricordato certo per la sua esperienza con la scuola di Barbiana (“guardate che anche il non bocciate - ha detto Lancisi – era riferito solo alla scuola dell’obbligo”) ma anche per la sua religiosità che si nutriva di strumenti culturali che gli arrivano da una borghesia illuminata, ebraica, rispecchiata soprattutto nella figura della madre Alice.
In questo don Milani pensa “all’essere per l’altro”, non diventa depositario di verità da infondere quanto piuttosto “strumento”. Una figura che per Cosimi si riassume in una celebre frase di Kant: «L’intelligenza di un uomo si misura dalla qualità di incertezze che è capace di sopportare».
Per Elisa Amato il priore di Barbiana è l’uomo che ha cambiato la sua vita di insegnante siciliana trapiantata a Livorno. Una figura sconosciuta nel suo percorso universitario che diventa “carne” una volta che la giovane insegnante viene assegnata alla scuola di Corea, dove conosce don Nesi. E il Villaggio di Corea e la scuola di Barbiana corrono quasi paralleli. Come quando la giovane docente entra in classe e la trova vuota. Non se lo spiega, è stranita, spiazzata. Pensa di aver sbagliato tutto fino a quando dagli armadi non escono gli alunni del villaggio, che le vanno incontro e la abbracciano. «Da allora capii che il teorema di Pitagora, il minimo comune multiplo, le frazioni non erano quello di cui avevano bisogno questi ragazzi». E se è vero come dice il sindaco Salvetti che “oggi a Livorno don Lorenzo si sarebbe trovato bene”, è altrettanto vero che – spiega Lancisi – il punto oggi non è guardare al passato ma a ciò che oggi don Milani rappresenta, perché il “metodo finisce, il messaggio no”. E guardare al suo esempio. A quello che don Bensi definiva “l’immagine più eroica del cristiano e del sacerdote”. l

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