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«Con la bandiera vietcong beffammo i militari Usa»

franco carnieri
«Con la bandiera vietcong beffammo i militari Usa»

Il blitz riesce, le fotografie no: è necessario fare il bis per farsi immortalare e stavolta è Carnieri a portare la macchina fotografica...

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Così nel 2003 Franco Carnieri rievocava sul Tirreno il blitz filo-vietcong nel ’69: era stato lui a fotografarlo per Paese Sera.



Una medaglia realizzata col metallo di uno degli aerei Usa abbattuti nei cieli del Viet Nam del Nord devastato dai bombardamenti a tappeto comandati da Nixon. Fu consegnata da una delegazione vietnamita a un gruppetto di portuali livornesi che nel giorno del funerale di Ho Ci Min (morto il 3 settembre 1969), salirono a bordo di una nave americana attraccata nello scalo labronico, ed ammainarono la bandiera al posto della quale issarono quella del Viet Nam del Nord. Un’azione spericolata di sapore gappista (gruppi d’azione partigiana durante la Resistenza), che ebbe un’eco nazionale e fu assunta in Viet Nam come un esempio «militante» di solidarietà internazionale. Ma anche un’azione in nome della pace, per opporsi ad una guerra che vedeva il “colosso” scaricare su un piccolo paese tutto il suo potenziale bellico.

«Quando morì Ho Ci Min – ha raccontato Umberto Vivaldi, uno dei protagonisti che con pochi altri aveva sempre rifiutato il lavoro alle armi – con altri compagni di lavoro decidemmo di fare qualcosa di clamoroso come testimonianza contro i bombardamenti del Viet Nam del Nord. Saputo che alla calata Assab c’era da caricare materiale bellico su una nave da guerra statunitense, andammo in Compagnia e chiedemmo di lavorare. L’idea – dice Vivaldi – era quella di salire a bordo della “Jodett” per sostituire la bandiera Usa con quella vietnamita».

La «squadra» era composta di «fegatacci». Di coraggio ne occorreva molto: la nave era «territorio americano», ed a bordo gli ufficiali tenevano alla cintura – non per figura – pistole che sembrano cannoni.

«Tutti – la parola è tornata a Umberto Vivaldi – volevano assolvere al compito della sostituzione della bandiera. Alla fine la spuntai io. Era il tramonto. Muovendomi come un gatto, arrivai al pennone a poppa e tolsi la bandiera Usa e la nascosi sotto le gomene; poi, da sotto la camicia presi quella vietnamita e la issai sul pennone. L’azione fu “fotografata” da dietro una rete da Franco Suich. La bandiera vietnamita sventolò per circa un’ora. Quando gli ufficiali americani scoprirono la cosa, successe il finimondo; tutti i portuali furono presi praticamente prigionieri. Arrivarono il comandante di Camp Darby, i carabinieri, il questore... rivolevano la bandiera ad ogni costo. Arrivò anche il “console” Italo Piccini. In sostanza, si rivolse a tutti quei caporioni e disse: o liberate i miei portuali e li mandate a casa; o li liberate e li fate continuare a lavorare o fra venti minuti vi trovate qui mille loro compagni. La cosa – racconta Vivaldi – finì dopo poco, quando la bandiera americana fu trovata dove era stata nascosta e rimessa al suo posto».

Dunque, missione compiuta? «Per niente: o perché non aveva funzionato la macchina o perché non aveva funzionato il fotografo, non era venuta neppure una foto. Non c’era cioè la documentazione da passare ai giornali. Così che, era come se non fosse successo niente. Ma non ci arrendemmo. Si decise di ripetere l’operazione su un’altra nave americana, la “Export Commerce”. Andò bene. Operammo lo stesso gruppo; la sostituzione la feci io forte dell’esperienza precedente. Unica differenza: tutto fu documentato con le foto di due cronisti di Paese Sera. Finirono sui giornali nazionali della sinistra». —



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