Il mondo di Luigi Orlando e il cantiere naufragato nel tempo perduto - Le foto
Livorno, la statua dedicata all'ingegnere fondatore del cantiere si è fermata nel passato, come l’orologio rotto alla sue spalle. Eppure al di là del muro di cinta c'erano la ricchezza della città e la sua storia
10 settembre 2017 Federico Lazzotti
LIVORNO. Il mondo che ha costruito in una vita di intuizioni è naufragato alle sue spalle lentamente – un pezzo alla volta – nel mare grosso che è il progresso come una nave da guerra colpita a babordo, per poi riemergere, ma con tutt’altra prospettiva industriale. Prima hanno scricchiolato la chiglia e l’ideale che gli aveva permesso di esistere, galleggiare, crescere; poi sono andate a fondo le merci e dunque gli affari. Infine è stato abbattuto anche buona parte del muro simbolo che divideva Livorno dalla sua città-cantiere per lasciare spazio a yacht milionari, immobili semivuoti e pure un centro commerciale che ha aperto la Porta a mare sul futuro.
Ma di questo inabissamento sistemico e doloroso, durato oltre un secolo, per sua fortuna, Luigi Orlando, fondatore dell’omonimo cantiere navale lungo il viale Italia, non si è accorto, come buona parte dei livornesi. Il tempo per la statua che lo rappresenta baldo, fiero e garibaldino, inaugurata nel 1898 a due anni dalla morte, si è fermato nel passato, come l’orologio rotto alla sue spalle che batte il tempo giusto solo due volte al giorno. Così l’ingegnere – oggi come allora – continua a guardare sempre e solo avanti, puntando lo sguardo verso sud, da dove era arrivato con i tre fratelli passando prima da Genova, nel 1865. L’espressione seria e pensierosa, la mano sinistra in tasca, il piede destro leggermente proteso in avanti rispetto al corpo e il panciotto abbottonato sotto a un lungo cappotto che arriva fino alle ginocchia. Più o meno lo stesso abbigliamento di quando arrivò a Livorno con un’idea rivoluzionaria di sviluppo in testa: fare dell’arsenale il centro per la cantieristica mercantile e da guerra.
Un avvenimento talmente importante per la città da comparire in una lettera inviata da Francesco Domenico Guerrazzi all’avvocato e suo fraterno amico Antonio Mangini, datata 28 giugno 1865. In quelle righe – come ricorda Mario Landini in un articolo del 1992 quando la Cooperativa del Cantiere era già sul lastrico – lo scrittore presenta Orlando, allora direttore del grande stabilimento di San Pier d’Arena, come «un uomo per ogni verso stimabile ed amico mio. Da lui – scrive riferendosi al progetto per l’arsenale – udrà di che si tratta. Quanto a me, promuovo, con tutte le forze, i suoi disegni, perché idonei a instituire, a confermare ed ampliare opifici ed opere tali da metter la città nostra a quel grado di elevatezza che parmi meritare».
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