Il Tirreno

Livorno

Costa concordia

"Schettino ha mentito sia a noi che all’equipaggio"

Francesca Gori e Pierluigi Sposato
"Schettino ha mentito sia a noi che all’equipaggio"

Costa lo scarica definitivamente. Il comandante in una telefonata ammise: ho fatto un guaio. Ma rivendica la manovra che ha fatto incagliare la nave

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Le parole dell’amministratore delegato di Costa Crociere pesano come macigni: «Schettino non ci ha detto la verità. Non l'ha detta né a noi né all'equipaggio, che non ha così potuto dare una corretta informazione ai passeggeri. Quanto detto dal comandante nella conversazione delle 22.05, purtroppo, ci è stato confermato non corrispondere verità. Lo abbiamo appreso non dal comandante Schettino, e comunque troppo tardi». Pierluigi Foschi parla all'uscita dalla Procura e la sua sembra una sentenza già pronunciata: Costa ha scaricato Schettino, inappellabilmente. Si è sentita tradita dal comandante della sua imbarcazione più prestigiosa, dall'uomo nelle cui mani aveva messo non solo un gioiello ma anche la vita di migliaia di persone. Se giovedì l'arrivo dell'avvocato Marco De Luca, legale della compagnia, aveva scavato il primo solco, ieri le dichiarazioni dell’amministratore delegato hanno tracciato la linea di demarcazione definitiva.

Verosimilmente, Costa ha appreso dalla Procura il contenuto delle dichiarazioni rese dal comandante ora sospeso e ai domiciliari e ha deciso di conseguenza come comportarsi. Schettino aveva ammesso: «C'è stato un contatto con il fondale. Ho fatto un guaio, sono passato troppo sotto costa», aveva detto davanti al gip riferendo quella conversazione con l'ufficio centrale, con Roberto Ferrarini , responsabile dell’unità di crisi di Costa Crociere. Ma non avrebbe detto tutta la verità. Il suo legale, Bruno Leporatti, però non ha dubbi: «Vedrete che i tabulati diranno tutto, la verità è tutta lì». «Barra a dritta e poi a sinistra» E cos'altro aveva detto al gip? «Ho messo la barra a dritta, dopo l'urto, per tenere in assetto la nave. I timoni? Quelli funzionavano. Poi però, quando ho visto che i motori non rispondevano più, ho messo la barra a sinistra: 10 gradi, 20 gradi. Ho fatto questa manovra per due motivi: per rallentare il movimento di Costa Concordia e per impedire che si allontanasse dall'isola del Giglio».

Quando Schettino parlava, più o meno con queste parole, forse rivedeva se stesso sulla plancia di comando di quella nave enorme che con il passare dei minuti diventa sempre meno governabile e sempre più caotica. Parlava e gesticolava un poco per farsi capire meglio: dal giudice Montesarchio che lo stava interrogando, dai quattro pm che lo tengono sotto accusa e che si avvalgono di propri specialisti, dal suo avvocato. Il suo è stato un linguaggio tecnico, quello della gente di mare, quello per il quale certi termini hanno davvero bisogno di una traduzione. «Volevo evitare danni maggiori» Schettino si è dimostrato orgoglioso della sua esperienza, dei suoi trenta anni di navigazione, del modo in cui ha gestito l'emergenza una volta commessa quell'imperdonabile (e ammessa) leggerezza, cioè il passaggio troppo ravvicinato davanti al porto del Giglio: «La manovra è stata mia e solo mia», ha detto martedì a chiare lettere al giudice rivendicandone la paternità. «Io mi sono preoccupato di far accostare la nave per cercare di evitare che ci fosse un danno maggiore, una perdita di vite umane».

L’aiuto del grecale Così Schettino quella sera, una volta constatata l'impossibilità di governare l'imbarcazione così grande, decise di aiutarsi con il timone per indirizzare la Concordia: barra a dritta, poi a sinistra. «Volevo che il grecale la portasse verso l'isola». Manovra in effetti riuscita, sempre se voluta, come conferma il sistema Ais che ha registrato tutti gli spostamenti. Si vede la Costa che, superata la punta Gabbionara oltre il porto del Giglio, compie una virata verso destra, per mettersi con la prua al vento. Il grecale (vento da nord est) investe poi la fiancata sinistra della nave e fa compiere un mezzo giro alla Concordia che si trova con la prua verso sud-est. A quel punto la nave in effetti trasla in blocco verso sud-ovest, come se la fiancata sinistra fungesse da vela e spingesse - dritta dritta - una zattera senza timone. A 0,5 nodi di velocità. «Due lunghezze d’ancora» Non basta. «Ho fatto calare le ancore - dice ancora al gip - perché così sarei stato aiutato nella manovra».

Schettino fa stimare la profondità («erano due lunghezze d'ancora», così ha detto riferendo il gergo marinaro) e poi ha proceduto. Dovrebbe essere il momento (le 22,55) in cui Costa Concordia punta con la prua verso l'imboccatura di Giglio Porto. I riscontri orari li darà la scatola nera, insieme alla sequenza di ogni tipo di manovra eseguita da Schettino al timone, insieme alle conversazioni di ogni genere intercorse quella sera. «La mia è stata una manovra voluta», ha ripetuto il comandante senza esitazione. «Ero da solo in plancia, con cinque ufficiali», al momento dell’urto. La giovane moldava, che pure la Procura vorrebbe sentire, non c’entra niente. E il comandante ha detto di aver informato correttamente la società e di aver chiesto l’intervento di rimorchiatori ed elicotteri. La scatola nera dirà la verità. «Volevo risalire a bordo» E Schettino non scappava. Il suo difensore Leporatti, spiega che il comandante non si è mai camuffato con giacconi o altro. E aggiunge che ci sono testimonianze sul fatto che Schettino aveva voluto effettivamente tornare sulla nave.

«Il comandante era salito su un’ imbarcazione di salvataggio calata dalla Aegilium, con due marittimi a bordo, che era passata davanti a lui quando era sullo scoglio dove l’aveva già trovato il comandante della polizia municipale. Ai due marittimi aveva chiesto di essere portato sotto bordo, per avvicinarsi alla Concordia. Ma i marinai gli avevano risposto di avere disposizioni precise e cioè di poter solo portare persone dalla nave alla costa e non viceversa». Era passata l'1 di notte. La telefonata con Palombo Qualche ora prima, ormai sotto gli scogli dell’isola, Schettino aveva parlato al telefono con Mario Palombo, l’ex comandante della Costa e suo maestro. E, secondo quanto riferito da alcuni gigliesi che sabato ebbero modo di parlare con Palombo, si era rivolto al comandante in pensione con tono smargiasso. «Sono qui davanti alla tua isola, a 100 metri dagli scogli. E abbiamo acqua sotto».

Come dire: sono stato più bravo e coraggioso di te nell’avvicinarmi all’isola. Forse, nel raccontare la telefonata con Schettino, sabato, Palombo si era fatto prendere dalla concitazione del momento. Perchè ieri, quando lo abbiamo contattato, ha negato di aver ascoltato quelle parole: «Schettino mi ha detto soltanto che si stava avvicinando al Giglio, che sarebbe passato dal porto a una distanza di 800 metri, io gli ho suggerito di fischiare e allontanarsi che tanto al Giglio in inverno non ci sarebbe stato nessuno sul molo». Palombo è irritato. E torna sulla faccenda dell'inchino. «Non era certo per me - aggiunge - io l'ho detto subito che ero a Grosseto. Se Schettino mi avesse detto che voleva fare una manovra del genere gli avrei dato dello scemo - tuona - perché è da scellerati fare quello che ha fatto. Le carte nautiche doveva vederle lui e sapere cosa trovava di fronte alla sua rotta». ©RIPRODUZIONE RISERVATA

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