Referendum 8 e 9 giugno: lavoro e cittadinanza, i cinque quesiti (spiegati bene) e la guida al voto
Urne aperte domenica 8 e lunedì 9 giugno: serve un’affluenza sopra il 50%
Domenica 8 e lunedì 9 giugno gli italiani sono chiamati alle urne per esprimersi su 5 referendum abrogativi: quattro riguardano il mondo del lavoro, mentre uno concerne la cittadinanza per gli stranieri. I quattro quesiti sul lavoro, promossi dalla Cgil e da altre associazioni della società civile, mirano a modificare alcune norme introdotte dal Jobs Act (governo Renzi) e da successive riforme, con l’obiettivo di rafforzare le tutele per i lavoratori. Il quinto quesito, invece, propone una modifica alla legge sulla cittadinanza per renderne più inclusivo l’accesso agli stranieri. Il referendum ha validità nel caso in cui vada alle urne il 50% aventi diritto. E ovviamente vinca il sì.
Contro l’astensionismo è partita una campagna nazionale da parte della Cgil. Nei giorni scorsi, da un’idea di Paolo Genovese, con la regia di Rolando Ravello, per dire no all’astensionismo e ribadire l’importanza del voto è stato lanciato uno spot che vede protagoniste persone comuni: donne e uomini di età, cultura e opinioni diverse. Una scelta narrativa precisa, per sottolineare che – al di là delle differenze – il voto resta lo strumento democratico fondamentale per esprimere il proprio pensiero. Anche quando prevalgono sfiducia, delusione o perplessità. Girato tra le strade, le piazze e i parchi di Roma, lo spot si configura come un vero e proprio passaparola popolare. Un messaggio corale dal basso, che vuole rompere il silenzio calato sui quesiti referendari. Un appello civile in risposta a chi invita i cittadini a disertare le urne. «Tante voci insieme possono cambiare le cose», è l’idea centrale del video, che richiama il potere trasformativo della partecipazione e della democrazia.
QUESITO 1 / SCHEDA VERDE
Stop a tutti i licenziamenti senza una giusta causa: si torna a prima dell’articolo 18
Il primo quesito (scheda verde), punta il dito contro uno dei simboli del Jobs Act: la fine del reintegro nel posto di lavoro per chi viene licenziato ingiustamente nel contesto del contratto a tutele crescenti. Dal 2015, infatti, i nuovi assunti potevano essere licenziati anche senza una giusta motivazione, in cambio di un compenso economico compreso tra sei e 36 mensilità in base all’anzianità. Il quesito chiede di abrogare questa norma e di ripristinare la possibilità di reintegro per i lavoratori licenziati illegittimamente, anche se assunti con contratto a tutele crescenti. Si tornerebbe quindi, al sistema precedente regolato dall’art. 18 così come modificato dalla legge Fornero. L’obiettivo, secondo i promotori, è restituire piena dignità al lavoro e contrastare il potere unilaterale dei datori. I critici, invece, temono che questo possa disincentivare le assunzioni, soprattutto per quanto riguarda le imprese private e aumenterebbe il contenzioso nei tribunali. Inoltre c’è chi sostiene che il mondo del lavoro andrebbe regolato con interventi organici e non attraverso referendum abrogativi.
QUESITO 2 / SCHEDA ARANCIONE
In caso di licenziamento il giudice decide le indennità anche per le piccole aziende
Il secondo quesito (scheda arancione) riguarda le tutele in caso di licenziamento illegittimo nelle aziende con meno di 15 dipendenti. Oggi, in queste realtà diciamo piccole, il lavoratore ha diritto a un risarcimento che varia da 2, 5 a 6 mensilità. I promotori ritengono questa cifra insufficiente e discriminatoria rispetto a quanto, invece, è previsto per le aziende più grandi. Questa, infatti, è una condizione che tiene le/i dipendenti delle piccole imprese (circa 3 milioni e 700mila) in uno stato di forte soggezione. Obiettivo è innalzare le tutele di chi lavora, cancellando il limite massimo di sei mensilità all’indennizzo in caso di licenziamento ingiustificato affinché sia la/il giudice a determinare il giusto risarcimento senza alcun limite. I promotori del no, però, temono che l’eliminazione del limite possa esporre le piccole imprese a costi imprevedibili e a un maggiore contenzioso. Abrogazione parziale di norme in materia di apposizione di termine al contratto di lavoro subordinato: durata massima e condizioni per proroghe e rinnovi.
QUESITO 3 / SCHEDA GRIGIA
Per contrastare il precariato stop ai contratti a termine per più di 12 mesi complessivi
Il terzo quesito (scheda grigia) mira a rendere più restrittivo l’uso dei contratti a termine. In particolare, si propone di ridurre da 24 a 12 mesi la durata massima complessiva e di reintrodurre l’obbligo di specificare la causale già al primo rinnovo. Una misura che, secondo i promotori, vuole contrastare l’abuso di rapporti precari e incentivare il ricorso al contratto a tempo indeterminato. In soldoni si punta all’eliminazione di alcune norme sull’utilizzo dei contratti a termine per ridurre la piaga del precariato. In Italia circa 2 milioni e 300 mila persone hanno contratti di lavoro a tempo determinato che ovviamente portano instabilità e poche certezze non solo a livello occupazionale. Di parere opposto le associazioni imprenditoriali, che vedono in questa proposta una pericolosa limitazione della flessibilità necessaria per rispondere alle esigenze del mercato. Esclusione della responsabilità solidale del committente, dell’appaltatore e del subappaltatore per infortuni subiti dal lavoratore dipendente di impresa appaltatrice o subappaltatrice.
QUESITO 4 / SCHEDA ROSSA
Se c’è un incidente sul lavoro diventa responsabile anche la ditta committente
Il quarto quesito (scheda rossa) si concentra sulla responsabilità solidale negli appalti per quanto riguarda gli incidenti sul lavoro. Attualmente, le aziende committenti non sono responsabili per gli infortuni sul lavoro o le malattie professionali correlate ad attività svolte all’interno dell’azienda appaltatrice o subappaltatrice. Il referendum propone di eliminare questa possibilità, rendendo sempre responsabile anche il committente. I sostenitori ritengono che questa modifica rafforzerebbe la sicurezza nei luoghi di lavoro e scoraggerebbe il ricorso a subappalti al ribasso. Arrivano fino a 500mila, in Italia, le denunce annuali di infortunio sul lavoro. Quasi 1.000 i morti, che vuol dire che in Italia ogni giorno tre lavoratrici o lavoratori muoiono sul lavoro. Cambiare la legge significa penalizzare il ricorso ad appaltatori privi di solidità finanziaria, spesso non in regola con le norme antinfortunistiche. Abrogare le norme in essere ed estendere la responsabilità dell’imprenditore committente significa garantire maggiore sicurezza sul lavoro. Le organizzazioni datoriali, però, denunciano un aggravio burocratico e giuridico che potrebbe disincentivare le esternalizzazioni.
QUESITO 5 / SCHEDA GIALLA
L’ultimo quesito (scheda gialla) riguarda l’accesso alla cittadinanza italiana per gli stranieri residenti in Italia. Attualmente, la legge prevede che uno straniero possa fare richiesta di cittadinanza solo dopo 10 anni di residenza legale e continuativa nel nostro Paese. Il referendum propone di abrogare questa parte della norma, con l’effetto di ridurre da 10 a 5 anni il periodo necessario per poter presentare domanda. Secondo i promotori, la modifica rappresenterebbe un passo importante verso un’Italia più inclusiva, riconoscendo i legami reali che molte persone straniere costruiscono con il nostro Paese nel tempo. L’obiettivo è quello di facilitare l’integrazione e dare piena cittadinanza a chi vive stabilmente in Italia, lavora, studia e contribuisce alla società. I critici, invece, vedono nella proposta un rischio di “cittadinanza facile”, temendo che possa indebolire i criteri di accesso e incentivare un’immigrazione non pienamente integrata. Alcuni sostengono che un cambiamento così rilevante dovrebbe avvenire attraverso un dibattito parlamentare ampio e organico, piuttosto che per via referendaria.