Il Tirreno

Grosseto

Energie rinnovabili

Impianti solari e consumo di suolo, boom in Maremma: richieste già superiori all'obiettivo dell'intera Toscana

di Matteo Scardigli

	L’elaborato grafico vuole mostrare l’effetto cumulativo tra più impianti fotovoltaici di tipo agricolo
L’elaborato grafico vuole mostrare l’effetto cumulativo tra più impianti fotovoltaici di tipo agricolo

Se tutti i progetti proposti diventassero realtà la superficie occupata sarebbe maggiore di quella già urbanizzata

4 MINUTI DI LETTURA





GROSSETO. Molti sindaci della Maremma e dell’Amiata, facendosi portavoce dei propri concittadini, lo hanno detto e ripetuto in più occasioni arrivando anche a lanciare un “allarme speculazione” contro il proliferare di progetti per impianti Fer (fonti di energia rinnovabili) spesso monstre, presentati da proponenti che non hanno la capacità economica per realizzarli. Una preoccupazione che trova oggi un appoggio nei numeri, mentre la normativa di recente introduzione apre a prospettive tutt’altro che contenitive.

Secondo il “Piano transizione 5.0” (decreto legge n. 175 del 21 novembre) varato dal Mimit (il ministero delle imprese e del Made in Italy), infatti, la Toscana deve raggiungere entro il 2030 (allegato C bis) una potenza installata di energie rinnovabili pari a 4.250 MW (Megawatt), mentre al 31 ottobre a Terna, la società che gestisce la rete elettrica nazionale di trasporto (At e Aat, cioè alta e altissima tensione) risultavano – per la sola provincia – pratiche di potenza richiesta pari a 4.630 MW; laddove nell’intera regione le pratiche ammontano a una potenza complessiva di 9.210 MW. È quindi l’aritmetica a dire che, nel caso in cui tutti i progetti venissero approvati, l’epicentro Maremma/Amiata sarebbe in grado di produrre 380 MW in più rispetto all’intero obiettivo della Toscana al 2030.

Altri numeri. Le pratiche presentate al 31 ottobre a Terna per la provincia erano 96, così suddivise: eolico 2.060 MW, fotovoltaico 2.570 MW (che sommati fanno i 4.630 MW di cui sopra). Con l’eolico, che per sua natura si sviluppa verso l’alto, l’impatto sul territorio è più visibile ma – per paradosso – meno evidente. Con il fotovoltaico, che viceversa si estende in orizzontale, mappe e planimetrie certificano che per produrre i 2.570 MW richiesti sarebbero necessari circa 11mila ettari di suolo; laddove Maremma e Amiata, in tutta la loro storia urbanistica, di ettari ne hanno consumati 14.385 (ultime rilevazioni Ispra, l’istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale”, al 2024): un incremento superiore al 75% rispetto all’attuale.

Ora, è chiaro che non tutti i progetti si tradurranno in impianti; la maggior parte, anzi, proprio per la mancanza di capacità economica dei proponenti. Ma la mole di carte depositata al Mase (il ministero dell’ambiente e della sicurezza energetica) è oggettiva e dev’essere vagliata, anche perché in questo contesto Terna è obbligata a connettere alla rete chiunque ne faccia richiesta; così come i municipi, se intendono presentare le proprie osservazioni quelle carte le devono esaminare, e per farlo devono dirottare sui faldoni personale spesso già esiguo in partenza. Si corre così poi il rischio che progetti realisticamente realizzabili – e ce ne sono – finiscano nel calderone.

La parola chiave diventa quindi “pianificazione”. Chiave di volta è l’articolo 11 bis del decreto legge, che definisce le aree idonee: quelle interne a stabilimenti industriali e, soprattutto, quelle classificate agricole entro un perimetro distante non più di 350 metri dagli stabilimenti stessi; aree adiacenti alla rete autostradale entro 300 metri; aree artigianali, commerciali, industriali e di logistica. Il primo punto è di particolare interesse per un territorio come quello di Maremma e Amiata, costellato di piccole e medie aree artigianali e industriali, anche considerato il fatto che il limite dei 350 metri si applica anche alle aree di pertinenza di Ferrovie dello Stato; a cui il decreto assegna priorità assoluta. Senza contare il comma 2, che fissa i paletti del fotovoltaico a terra su aree non produttive come cave dismesse o discariche ma introduce una deroga – potenziale scappatoia – per «i progetti attuativi delle altre misure di investimento del Pnrr» (e per le Comunità energetiche rinnovabili, dalla portata non paragonabile). È quindi con il comma 4 che il ministero imprime un’accelerazione: il parere paesaggistico, come quello espresso da una Soprintendenza, non è più vincolante, e comunque un parere mancato o tardivo fa scattare il silenzio-assenso; i termini per l’autorizzazione unica vengono ridotti di un terzo, e di pari passo quelli per presentare le osservazioni.

La nuova normativa riduce così di fatto il potere delle Regioni di stabilire divieti “a volo d’uccello”, ma non impedisce ai Comuni di stabilire vincoli più dettagliati e stringenti; per i quali servono gli appositi strumenti urbanistici.

© RIPRODUZIONE RISERVATA
 

Primo piano
Calcio: crisi viola

Fiorentina, è arrivata la scelta su Vanoli: il racconto di una giornata surreale e i motivi della decisione

di Redazione web