Violenze sulle donne, dal colpo di fulmine all’incubo: «Così ho perso e ritrovato me stessa»
La storia di Maria e di come è uscita dalla violenza del suo compagno
Maria (nome di fantasia per tutelarla) è una bella donna, solare e integrata. È una cinquantenne esperta e consapevole. Nelle sue esperienze ci sono viaggi, la conoscenza di tante persone, una vita sociale intensa dove le viene riconosciuta la sua cultura e la sua affabilità. Un presente ed un futuro professionale le cui aspettative appaiono sicure e soddisfacenti.
È ad un corso di formazione professionale che incontra Marco. I loro sguardi si incrociano e si trattengono.
È la scintilla che li fa incontrare così da frequentarsi e dichiararsi avviando una vita in comune. Lui si trasferisce da lei e comincia la convivenza. Maria lo ospita a casa sua, iniziano a lavorare insieme, lei mette a disposizione le sue competenze e lo aiuta a mettere su un’attività. Gli dedica tutto il suo tempo di lavoro, lo spazio di casa, il suo tempo libero sino a diventare una sua dipendente. Lo fa a ragione, Marco è gentile e poi le ripete che lei è la sua regina, la coccola, non potrebbe vivere senza di lei. Benedice il giorno in cui l’ha incontrata.
Ma questa favola purtroppo per Maria non andrà avanti. Quello che sembrava scorrere in una quotidianità senza scosse gradualmente cambia senza una ragione apparente: il suo compagno si rende diverso, non solo la guarda ma sembra scrutarla nei suoi atteggiamenti.
Marco è cambiato. È irrequieto, si lamenta per i dolori muscolari, la notte non dorme, corre in bagno a vomitare. Marco, è la dolorosa scoperta di Maria, fa uso di cocaina, anzi è proprio dipendente da cocaina. Quando va in astinenza la costringe a stare in casa, non le dà i soldi per fare la spesa, la umilia con frasi irripetibili, la picchia selvaggiamente la costringe a fare atti irripetibili.
Maria va in pronto soccorso per tre volte, ma non dice niente. Maria piange, si dispera ma tiene tutto per sé, perché si vergogna, soprattutto di sè stessa, la stima di sé una volta alta ora non esiste più. Non riesce a dormire, a mangiare, a stare con gli amici lei, che un tempo era molto socievole. Non riesce a buttarlo fuori di casa. Vorrebbe fare dei lavori nella sua abitazione, ma lui le distrugge tutto.
Insomma per Maria la vita è diventata impossibile, ma è bloccata nelle sue decisioni, si sente impotente. Si rifugia trascorrendo lunghe giornate nella solitudine del suo mare che in inverno le appare ora spaventoso o rassicurante, con il suo vento di libeccio che attraversa la spiaggia umida, fredda e deserta, priva del calore e della vitalità dell’estate, dandole quel senso di solitudine e malinconia. Piange, esce sempre meno, le attenzioni delle amiche la mettono in difficoltà, le notti si trasformano in incubi, si dispera.
Sarà una sua amica, che ha capito il suo disagio e la sua sofferenza, a venirle incontro consigliandole di rivolgersi ad un Centro antiviolenza. Le dice che in provincia ce ne sono pronti ad aiutarla. Maria fa fatica a prendere questa decisione perché è stanca, vuole evitare il ricordo, vuole dimenticare, evitare situazioni che la riportino a quegli episodi, è irritata arrabbiata, ansiosa e depressa.
Finalmente riesce a convincersi a prendere la decisione giusta: denunciare con l’aiuto e l’assistenza di un centro antiviolenza gestito dall’associazione Olympia De Gouges.
Settimanalmente si vede con le operatrici del centro, ma non riesce a tirare fuori niente, nega di avere avuto con lui una relazione affettiva nonostante la convivenza. Va in consulenza dalla psichiatra di fiducia e dalla avvocata che il centro le mette a disposizione. Lui viene allontanato dalla casa
Continuano i colloqui di ascolto sulla consapevolezza di avere subito violenza dalla persona con cui conviveva, si tranquillizza, ricomincia a mangiare e a dormire, stabilisce una relazione di fiducia con le operatrici e piano piano comincia a parlare della brutalità psicologica, della aggressività fisica, di quella economica, escono i suoi vissuti con le persone significative della sua vita, sente la necessità di mettere ordine nella sua vita, e comincia un percorso psicologico iniziato come sostegno e continuato come psicoterapia. Intanto anche il processo va avanti molto lentamente.
I vari cambi dei giudici le costano fatica. Maria è costretta a raccontare di nuovo le storie vissute di violenza che riaprono le vecchie ferite, una vera propria vittimizzazione secondaria che la donna porta nei colloqui. Ci sarà una sentenza che si ferma nella sua esecuzione per il ricorso in Cassazione prodotto dal suo “mostro” per avere una riduzione della pena.
L’obiettivo da raggiungere, nella costanza di un lavoro duro, è che Maria riprenda il proprio onore di donna, la propria indipendenza e la propria vita.
Maria capisce di aver intrapreso la strada giusta, di avere incontrato le persone adatte per l’aiuto che ricercava, non solo cordialità e accoglienza, ma soprattutto competenza.
Altro punto è la condizione economica della donna gravemente compromessa da questa esperienza. Attraverso un Fondo nato con la collaborazione dell’Associazione, Banca Tema ed altre Associazioni del territorio, proprio per dare finanziamenti agevolati e sostenere le donne nei loro percorsi di autonomia e per sviluppare attività imprenditoriali, Maria ha la possibilità di un finanziamento che le permetterà di rilanciare la sua azienda, sviluppare la clientela ed aumentare il fatturato.
Il cammino è stato lungo e impegnativo, ma attraverso il percorso/ progetto condiviso con le operatrici dell’Associazione Maria ha ritrovato sé stessa, piano piano rimarginerà la sua ferita, ritroverà una nuova se stessa con cui perseguirà i suoi obiettivi e i programmi che aveva interrotto.
A Maria non rimane che prendere atto di aver abbracciato l’uomo sbagliato ma anche la coscienza di imboccare, seppur con fatica, una nuova strada.
Un caso che ci fa riflettere su quanto sia fondamentale la forza di carattere e la solidarietà tra donne formate sulla violenza al pari della rete che possono fare: forze dell’ordine, pronti soccorsi, assistenti sociali che dialogano con le associazioni dei centri antiviolenza.
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