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Grosseto, dimessa senza i presìdi medici. La figlia chiama i carabinieri: «Mamma così poteva morire»

di Matteo Scardigli

	L’ospedale di Castel del Piano al cui interno è stato allestito l’ospedale di comunità (foto d’archivio)
L’ospedale di Castel del Piano al cui interno è stato allestito l’ospedale di comunità (foto d’archivio)

La figlia racconta l’odissea all’uscita dall’ospedale di comunità di Castel Del Piano

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GROSSETO. «Perché mamma tornasse a casa viva ho dovuto chiamare i carabinieri». Si conclude così l’odissea della piombinese Deborah Camelli; almeno per il momento.

La storia inizia a Follonica circa un mese fa; quando la madre, pensionata di 73 anni, ha un malore. I soccorritori sospettano un’emorragia cerebrale e la portano d’urgenza a Grosseto, dove al Misericordia – purtroppo – la paura si trasforma in realtà. La donna trascorre due settimane in Neurologia: «Non capisce, non deglutisce e non parla. E non migliorerà», spiega Camelli, alla quale da via Senese consigliano di ricoverare la madre in una struttura “d’appoggio” per dare a lei e alla sua famiglia il tempo di predisporre tutto il necessario per il ritorno della paziente a casa. Si decide quindi di accompagnarla all’ospedale di comunità di Castel del Piano. I dottori preparano l’elenco di quello che serve e la paziente arriva in vetta all’Amiata con i suoi presìdi.

Trascorrono due settimane ancora e si arriva a questo venerdì, giorno delle dimissioni. È primo pomeriggio e Camelli aspetta solo la chiamata che annuncia la partenza della madre. E la telefonata arriva, insieme però a un tuffo al cuore. All’altro capo della linea c’è un’infermiera con cui ha stretto un bel rapporto. «Ci eravamo sentite spesso, mi teneva al corrente di ogni cosa», premette Camelli, e poi racconta: «Intanto c’era stato un ritardo: mamma doveva uscire alle 14 ma erano arrivati a prenderla solo alle 16. Più che altro, però, era pronta ad andare ma chi era sull’ambulanza si rifiutava di caricare anche i presidi: “Ordini del dirigente”, le stavano dicendo».

Si parla di una pompa di infusione che è stata rimossa poco prima proprio allo scopo di permettere il trasporto della paziente – del tutto non autosufficiente – e flaconi di sostanze nutritive dentro a scatole di cartone inviate dal dispensario Asl del capoluogo.

Camelli riesce a farsi passare gli operatori e batte i pugni: «Mi sono arrabbiata, tanto, ho detto loro che stavano commettendo un atto che avrebbe messo in pericolo la vita di una persona estremamente fragile e che avrei chiesto l'intervento della forza pubblica». Nessun effetto. E lei chiama i carabinieri: «Mentre l’infermiera continuava a insistere i militari sono arrivati sul posto. Nel frattempo “il dirigente” ha dato il contrordine: caricare la pompa e una delle scatole». E finalmente via a Follonica.

A questo punto Camelli, che intanto ha allestito la stanza per la madre, prima di salire in vetta all’Amiata per riprendersi i presìdi rimasti, fa due cose. La prima è ringraziare «l'ospedale di comunità di Castel del Piano: un luogo dove ci si sente accolti, compresi e presi in carico. Grazie davvero per la professionalità e l'umanità che riuscite a dare nonostante tutto», e i carabinieri «per essere intervenuti con attenzione e cuore». E la seconda è imbracciare le armi: «Cosa sarebbe successo se io non mi fossi arrabbiata? E cosa potrebbe succedere a una persona sola in una situazione simile? Ci potevano almeno avvisare prima che non avrebbero potuto portare tutto a Follonica (nessuno pretende che i soccorritori siano corrieri), così ci saremmo organizzati. Ovviamente – chiosa – la cosa non finisce qui e la mia protesta arriverà in ogni sede utile».

Abbiamo chiesto un commento ad Asl, che ci fa sapere che i militari nell’occasione hanno elevato un verbale; ancora non pervenuto, a ieri, all’azienda sanitaria.

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