Il Tirreno

Grosseto

Le indagini

Sequestro a Grosseto, negozio di alimentari coinvolto in giro di pratiche false per immigrati

di Matteo Scardigli
Sequestro a Grosseto, negozio di alimentari coinvolto in giro di pratiche false per immigrati

Il Tamim, alimentari italo-asiatici, sotto sequestro preventivo: la Guardia di Finanza scopre un giro di pratiche false per l’ingresso di cittadini bengalesi, con un fatturato stimato di 600mila euro

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GROSSETO. Dietro al foglio “anonimo” attaccato con del nastro adesivo alla vetrina del negozietto un’indagine per autoriciclaggio e favoreggiamento dell’immigrazione clandestina con un giro d’affari stimato in circa 600mila euro.

Siamo in via De Pretis, civico 20: alimentari Tamim, vendita diretta di prodotti italiani e asiatici, locale sottoposto a sequestro preventivo in esecuzione dell’ordinanza del tribunale di Grosseto. La vicenda, però, comincia a Siena.

La prefettura della Città del Palio esamina diverse pratiche del Decreto Flussi, la procedura per l’ingresso di cittadini stranieri in Italia per motivi di lavoro subordinato, anche stagionale, e di lavoro autonomo: il governo stabilisce il tetto massimo di permessi, i datori presentano le domande e le persone arrivano e si mettono all’opera. Ma c’è qualcosa che accomuna quelle pratiche, e qualcosa che non torna: riguardano tutte il Bangladesh – sono circa 200 – e sono piene di indicazioni false riferibili tanto ai datori di lavoro, in alcuni casi risultati ignari, quanto ai luoghi di lavoro o di alloggio degli stranieri, spesso ricorrenti. Viene quindi interessata l’Autorità giudiziaria, che delega il Nucleo di polizia economico-finanziaria delle Fiamme Gialle locali ad approfondire l’ipotesi di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina.

I militari incrociano i dati (email, Pec, Spid e numeri di telefono) indicati nelle istanze di ingresso e nelle indagini finanziarie, e individuano una regia unica per la gestione delle pratiche riconducibile a un cittadino bengalese residente a Grosseto che, insieme ad alcuni connazionali rimasti nel Paese di origine, ha presentato tutte le pratiche utilizzando riferimenti a imprese – non operative, tra l’altro – riconducibili a lui stesso o ad altri quattro connazionali; indagati in concorso.

Secondo i finanzieri le istanze sono veicolate alle prefetture competenti – alcune a Grosseto – individuate in base alla sede legale del datore di lavoro. A fronte di tale servizio un tariffario con corrispettivi differenziati in base al numero dei richiedenti e alle loro possidenze e capacità economiche, che oscillava fra i 2mila e i 4mila euro a pratica, versati in contanti in Bangladesh e, occasionalmente, anche in Italia. In caso di ristrettezze economiche, il pagamento poteva avvenire anche mediante la cessione di terreni di proprietà dei richiedenti stessi.

Tenuto conto della natura transnazionale del reato e che il fatto è stato commesso con finalità di profitto e ha riguardato l’ingresso nel territorio italiano di cinque o più persone, l’ipotesi di favoreggiamento (come prevede la legge) viene ritenuta pluriaggravata.

La ricostruzione dei flussi finanziari fa poi emergere che parte del profitto è stato impiegato per acquistare, tramite un prestanome (indagato) al prezzo di 51.500 euro un immobile adibito a uso commerciale – il Tamim – e le Fiamme Gialle prospettano quindi anche l’ipotesi di autoriciclaggio al pubblico ministero, che richiede la misura cautelare reale al giudice per le indagini preliminari, il quale dispone il sequestro preventivo finalizzato alla confisca dichiarando allo stesso tempo la competenza del tribunale di Grosseto.

Di qui il foglio “anonimo”.


 

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