Il virus
Grosseto, amore negato dal padre padrone: si uccide a 16 anni
La figlia si era fidanzata con un pakistano. Accuse di maltrattamenti anche per la madre, poi assolta
GROSSETO. Due ragazzi, una storia d’amore. Una storia come tante, forse. O forse no: perché India e Pakistan sono divisi da lacerazioni profonde, sono anche in guerra per il territorio del Kashmir, e il padre di lei - indiano - non aveva tollerato che sua figlia frequentasse un “nemico”. La picchiava. Almeno due casi gravi, fino all’ottobre di tre anni fa, con la ragazza – non ancora maggiorenne – che era andata al pronto soccorso ed era entrata poi in un percorso protetto, lontano da casa. Un percorso finito tragicamente: un giorno della fine del 2022 la ragazza allora poco più che sedicenne si era gettata da una finestra della comunità di cui era ospite, ed era morta sei mesi più tardi.
Maltrattamenti in famiglia l’accusa per la quale i due genitori sono finiti sotto processo. Tre mesi trascorsi in un clima di violenze fisiche e verbali, secondo l’imputazione: nulla è stato contestato in merito al decesso. Il padre, 45enne, ha preferito non discutere le accuse e ha patteggiato un anno e mezzo. La madre connazionale, di qualche anno più giovane, è stata invece assolta: il fatto non costituisce reato.
La donna «pur conoscendo le condotte e il tipo di educazione imposte dal marito, si è limitata a un comportamento passivo e sottomesso che in alcun modo ha favorito o rafforzato il proposito criminoso dell’uomo, temendo anche per la propria incolumità nei casi in cui ha provato a intervenire in soccorso della figlia» ha scritto il giudice Giuseppe Coniglio nella sentenza. Anche il pm Carmine Nuzzo aveva sollecitato l’assoluzione della donna, si era uniformato il difensore Roberto Santi Laurini che ha assistito anche il marito.
Lui, il padre, quel fidanzamento non l’aveva mai accettato. Le indagini dei carabinieri erano partite nell’ottobre 2022 dalla querela della ragazza indiana, che dal maggio precedente aveva intrapreso una relazione con un giovane pakistano. Per motivi di carattere etnico e anche religioso, il padre non soltanto aveva osteggiato il rapporto ma era anche arrivato a privarla del cellulare e ad accompagnarla tutti i giorni a scuola per impedirle di incontrare il fidanzato. Il padre l’aveva picchiata due volte, aveva ancora raccontato lei: la prima sulla schiena, al volto e sui piedi con un tubo di gomma da giardino, alla presenza della mamma e del fratello più piccolo, quando il padre aveva saputo della relazione sentimentale (un graffio sotto a un occhio e lividi in varie parti del corpo); la seconda qualche mese dopo ancora sulla schiena e al volto, con una scarpa, quando il padre aveva saputo che lei continuava a vedersi con quel ragazzo (contusioni ed ematomi, una prognosi di sette giorni).
In quest’ultima occasione, la ragazza era andata al pronto soccorso: si era allontanata da casa, anche i vicini si erano messi a cercarla, preoccupati. Quando genitori e amici l’avevano raggiunta all’ospedale, avevano saputo che era entrata sotto la protezione del Tribunale per i minorenni. «I miei genitori mi hanno picchiato», aveva scritto lei al fidanzato in occasione del primo episodio di lesioni.
Così il fascicolo era stato aperto anche nei confronti della madre, sospettata di aver omesso di attivarsi per evitare che la figlia venisse picchiata e di aver così contribuito ai maltrattamenti di cui era stato principale autore il marito. I vicini avevano confermato di aver visto la ragazza con un taglio sotto l’occhio. Lo aveva visto anche il fidanzato, che ai carabinieri aveva raccontato di quella storia di amore così bella ma anche così drammatica, riferendo ciò che la ragazza le aveva confidato e spiegando così che la mamma non si era mai imposta per impedire le violenze; era stato lui ad accompagnare la ragazza in ospedale, nell’ottobre 2022.
Ma il giudice è del parere che la donna non abbia avuto una partecipazione cosciente e volontaria. Nel primo episodio, anzi, aveva cercato di fermare il marito, che l’aveva rimproverata e minacciata. Nel secondo, si era preoccupata dell’altro figlio (rappresentato nel processo dalla curatrice speciale, l’avvocata Elisabetta Teodosio) che di fronte alla scena di violenza era scoppiato in lacrime. Le testimonianze parlano di una «condizione di sottomissione» della moglie, perché anche lei temeva di essere percossa. Quello che emerge è un quadro che si inserisce in una «cultura di tipo patriarcale e maschilista», nel quale le donne – anche la moglie – erano destinate a un ruolo di vittima. Manca l’elemento psicologico, per lei nessuna condanna.
Per l’uomo, invece, non ci sono motivi tali da far concludere per un proscioglimento, anzi dagli atti emerge la prova della sua responsabilità. La pena è stata sospesa ma soltanto a patto che l’imputato frequenti e superi con esito favorevole il percorso di recupero dello Spazio di ascolto uomini maltrattanti, per almeno un anno.
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