Maremmana in Amazzonia da 26 anni: «Ma ora la nostra battaglia è minacciata» - Video
La grossetana Bianca Bencivenni e il compagno vivevano nella giungla dal ’94. Hanno fondato una scuola e un’associazione, ma si sono dovuti allontanare
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GROSSETO. Il grido d’allarme dell’Amazzonia si leva dal cuore della foresta, sulle rive del Rio Jauaperi, in Brasile, e la sua eco rimbalza fino in Maremma. Da qui ventisei anni fa sono partiti Bianca Bencivenni, grossetana, all’epoca 29enne, e il compagno Paul Clark, scozzese, che avevano scoperto questo angolo remoto del medio Rio Negro in Brasile durante un precedente viaggio. E se ne erano innamorati. È nata così un’avventura, fatta di ecologia e di istruzione scolastica, che avrebbe cambiato la loro vita, ma anche quella delle popolazioni locali. Un’avventura che alla fine del 2019 ha subito un brusco colpo d’arresto, al culmine di un crescendo di difficoltà, di cui è sempre stata puntellata la vita di Bianca e Paul a quelle latitudini. Difficoltà che si sono inasprite negli ultimi periodi al crescere del nuovo, ostile atteggiamento politico – a livello governativo ma anche locale – del presidente Bolsonaro.
Dopo oltre vent’anni, per il clima di intimidazioni costanti Bianca e Paul sono stati costretti a lasciare la scuola da loro fondata e la loro casa su palafitta nella giungla, dove sono nati e cresciuti i loro due figli, Ian, oggi 14 anni, e Yara, 21, e a trasferirsi in città. Dove, tuttavia, con determinazione e speranza, continuano a portare avanti il loro progetto.
L’arrivo in Amazzonia
Era il 1994 e in Italia Berlusconi aveva appena vinto le elezioni. «Avevo lavorato a Firenze come designer – racconta Bianca al Tirreno – e poi a Milano. Con il mio compagno Paul avevamo già fatto un viaggio in Amazzonia, ce n’eravamo innamorati e cominciammo a pensare di trasferirci là. Il motivo? Un grande desiderio di libertà. Quando Berlusconi salì al governo ci siamo detti: “Questo è il momento di partire”».
È il 1994. Dell’Amazzonia polmone del mondo ammorbato dalla deforestazione e dallo sfruttamento dell’uomo si parlava già da tempo. Appena sei anni prima Chico Mendes era stato assassinato per la sua lotta in difesa della foresta. Ma il suo sacrificio non era stato inutile: nel 1990 veniva approvata la legge che istituiva le Reservas Extrativistas (Resex), ovvero aree protette dove le risorse (animali, legname, castagne, resine...) sono a disposizione delle popolazioni locali, che le estraggono per la propria sopravvivenza, ma restano protette dal lucro di attori esterni.
Ancora al principio degli anni Novanta, l’area dello Jauaperi era ancora piuttosto sconosciuta, abitata solo dagli indios Waimiri Atroari e dai caboclos, una popolazione nata dall’incontro tra popoli indigeni e nordestini che vive lungo i fiumi e gli igarapés. Paul e Bianca si installano in una maloca, una casa su palafitta nel microinsediamento di Xixuaù, a 20 ore di navigazione dal primo paese, Novo Airao, al confine tra gli stati di Amazonas e Roraima. Il posto non è scelto a caso. Qualche anno prima Christopher Clark, fratello di Paul, vi aveva fondato l’Associação Amazonia.
Istruzione ed ecologia
Bianca e Paul si rendono subito conto che due sono le grandi necessità di questo luogo: la tutela dell’ambiente dallo sfruttamento devastante e incontrollato – l’area è così vasta e selvaggia che il controllo, da parte delle autorità, è praticamente impossibile – e l’istruzione della popolazione locale, del tutto analfabeta e perciò vulnerabile.
La prima scuola
«In zona la scuola esisteva praticamente solo sulla carta – spiega Bianca –. Quella più vicina era a Sao Pedro ma i professori non venivano pagati, non si presentavano quasi mai, non c’era alcun controllo. Dopo qualche tempo, gli abitanti del posto ci chiesero di insegnare a leggere e a scrivere ai loro figli».
La scuola ha così tanto successo che ne nasce anche un libro bilingue, italiano-portoghese, O livro da selva (edizioni Sinnos), frutto degli scambi epistolari tra i bambini brasiliani e quelli di alcune scuole italiane dove Bianca e Paul, a seguito dei loro viaggi in Italia, fanno conoscere l’iniziativa. Nel frattempo Paul diventa microscopista e inizia un lavoro volontario per la diagnosi e cura della malaria, ancora molto presente in zona.
L’associazione
L’esperienza è ormai matura, per Bianca e Paul, che decidono di fare un passo ulteriore: fondano l’associazione Vivamazzonia per avviare progetti di preservazione ambientale e, lasciato lo Xixuaù per un’altra zona del fiume, il Gaspar, insieme a un gruppo di amici italiani danno vita a una nuova scuola che prende lo stesso nome: Escola Vivamazzonia.
Escola Vivamazonia
È il 1998 e la Escola Vivamazonia inizia a funzionare per gli alunni del Gaspar e del vicino villaggio di Itaquera che la raggiungono ogni giorno con le loro canoe. Nel 2000 grazie ai fondi raccolti in Italia viene acquistata una piccola barca a motore per realizzare il trasporto degli studenti di Itaquera. In seguito Vivamazzonia inizia a offrire anche delle borse di studio agli alunni che desiderano continuare gli studi superiori in città.
«All’inizio erano tutti analfabeti anche i ragazzi di 15 anni – racconta Bianca – Gli alunni erano divisi in due gruppi: i più piccoli e i più grandi, divisi fra me e Paul». Dai 10 ai 35 bambini e ragazzi frequentano ogni anno la Escola. La prima generazione di ragazze e ragazzi alfabetizzati della zona spinge i propri genitori ad imparare a leggere e a scrivere, per uscire dalla condizione di svantaggio che li rende facile preda di coloro che da sempre si approfittano di una popolazione analfabeta e sottomessa. Alcuni ex alunni oggi insegnano a loro volta.
Le testuggini
L’altra grande sfida è quella della tutela della natura. Nel 2003 l’associazione Vivamazzonia inizia il progetto di protezione delle testuggini, minacciate dal traffico illegale di uova e per la carne e, adesso, anche dai cambiamenti climatici. Il progetto coinvolge anche gli alunni della scuola Vivamazonia ma incontra l’ostilità di alcuni abitanti del fiume. Paul, che insieme a un caboclo, Valdemar, passa le notti sulla spiaggia vigilando la deposizione delle uova di testuggine, riceve minacce non solo verbali, ma anche con coltelli, machete e armi da fuoco. Ma l’associazione va avanti.
Associazione artigiani
Nei primi anni Duemila Vivamazzonia promuove la costituzione di un’associazione con sede ad Itaquera che, oltre a produrre artigianato riscattando antiche tecniche, agisca in favore della difesa ambientale e per il riconoscimento delle terre in favore degli abitanti storici dell’area, circa 400, i quali a un censimento sono risultati privi del diritto di possesso della terra che, al contrario, occupano e lavorano da sempre. Organizza insieme a un primo gruppo di leader comunitari e artigiani le visite del Sindacato dei lavoratori rurali presso tutte le comunità del Rio Jauperì per iniziare un lavoro di sensibilizzazione sui diritti alla terra e alla cittadinanza. Nel 2004 nasce l’Aarj, Associazione degli artigiani del Rio Jauaperi, il cui ruolo si rivelerà poi fondamentale nella battaglia in difesa del fiume, grazie all’Accordo di pesca del Rio Jauaperì nel 2006, che decreta la proibizione della pesca a fini commerciali per tre anni, prorogato sino ad oggi.
Riserva estrattivista
Il traguardo più significativo, però, è forse quello della creazione della Riserva “estrattivista” Baixo Rio Branco-Jauaperi, che vedrà la luce solo nel 2018 dopo una faticosa incubazione e anche grazie alla partecipazione dell’Aarj.
Sono anni in cui una parte della politica locale cerca in tutti i modi di mettere i bastoni fra le ruote al progetto, arrivando a prendersela perfino con la scuola. Alle intimidazioni, alle minacce e alle accuse si aggiunge persino una commissione di inchiesta sulla scuola. L’intero consiglio municipale, nel 2005, si presentò al Gaspar con la commissione d’inchiesta ma non furono riscontrate irregolarità e, soprattutto, gli abitanti diedero una solidarietà fortissima all’associazione e ai suoi insegnanti, ribellandosi agli attacchi contro l’unica scuola funzionante in modo continuativo su tutto il Rio Jauaperi. I consiglieri, e la loro commissione, furono costretti a ritirarsi.
Controllo dei militari
Per capire l’entità delle pressioni subite dall’associazione è esemplare quanto è avvenuto con il “Projeto nova cartografia social dos povos e comunidades tradicionais do Brasil”. Vivamazzonia, grazie alla collaborazione con la Pastorale della Terra, il sindacato Str, e l’Aarj, aveva ospitato un primo laboratorio di mappatura delle risorse naturali guidato dal professor Alfredo Wagner dell’Università Federale do Amazonas. I laboratori, però, vengono interrotti continuamente dai militari che si erano installati a Itaquera per controllare le attività dell’associazione degli artigiani e del popolo indigeno Waimiri-Atroari, e che fotografano e filmano senza autorizzazione i professori.
Il lavoro va avanti
Tra il 2009 e il 2011 Paul porta avanti da solo l’azione di preservazione delle tartarughe, vigilando la spiaggia la notte, raccogliendo le uova, incubandole e facendo rilasciare le piccole testuggini agli alunni della scuola. L’imprenditore brasiliano Ruy Tone, dopo aver visitato il progetto e aver visto l’isolamento di Paul, inizia a finanziare l’iniziativa e ad appoggiare la scuola. Finalmente nel 2012 l’Aarj assume piena responsabilità legale per il progetto con l’Ibama come ente ufficialmente accreditato dal Pqa (Projeto quelonios da Amazonia, ovvero “Tartarughe dell’Amazzonia”), il cui dipartimento della fauna può così contare su dati reali. Anche la comunità di Itaquera accetta il progetto e le spiagge protette diventano tre e poi otto. Tra il 2012 e il 2017 vengono costruiti alloggi per i professori di due comunità.
Lezioni sospese
Nel dicembre 2019, dopo oltre vent’anni di attività in gran parte prestata a titolo volontario e soprattutto malgrado il riconoscimento di tante madri e padri del Rio Jauaperi e dei loro figli, oltre che di personalità del mondo della cultura, dello spettacolo e di tutti coloro che hanno conosciuto questo straordinario progetto, Paul e Bianca sospendono in via temporanea le lezioni in aula. «Un clima di intimidazioni c’è sempre stato – dice Bianca – ma con il cambio dell’amministrazione locale le cose sono peggiorate e non è più possibile andare avanti». La nuova amministrazione, a differenza di quella passata, non riconosce la scuola come esperienza di valore. «E coloro che si occupano di istruzione all’interno dell’amministrazione sono xenofobi», spiega Bianca. L’italiana e lo scozzese si sono dovuti perciò spostare a Novo Airao. Per la prima volta dopo ventisei anni sono tornati a vivere tra strade, macchine, energia elettrica 24 ore su 24. Un’esperienza non facile. «Che effetto mi fa? Mi viene da piangere», dice Bianca. Poi, dopo un lungo silenzio, «per noi il nostro posto è là – aggiunge – e speriamo il prossimo anno di poter tornare».
Il lavoro va avanti
Intanto, però, il lavoro dell’associazione non si ferma qua. Paul, in queste settimane, è tornato a Jauaperi per sorvegliare le tartarughe. «L’8 febbraio – annuncia Bianca – ci sarà il rilascio di circa un migliaio di piccole testuggini». Lei, dal canto suo, lavora adesso con la Fam (Fundaçao Almerinda Malaquias) e da qui porta avanti i progetti di Vivamazzonia. «Oltre a quello delle testuggini – spiega – ne abbiamo altri, uno dei quali riguarda la ripiantumazione degli alberi e il recupero del legname dopo l’incendio del 2016, uno degli incendi che ha minacciato e continuano a minacciare l’Amazzonia». E mentre in sottofondo il rimbombo delle motoseghe che stanno minando la foresta corre sulla linea telefonica e arriva fino a Grosseto, quello di Bianca è un messaggio di speranza: «Noi vogliamo continuare a lavorare. E ce la metteremo tutta. Ma c’è bisogno che in Brasile, come in tutto il mondo, qualcosa si muova». —
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