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La vertenza

Firenze, protesta degli operai Alba davanti alla boutique Patrizia Pepe in piazza Duomo

Firenze, protesta degli operai Alba davanti alla boutique Patrizia Pepe in piazza Duomo

Dopo le aggressioni e il no della maison di presentarsi al tavolo convocato dal presidente della Provincia di Prato, i lavoratori portano la vertenza nel cuore del capoluogo toscano: “I brand assumano responsabilità sulla filiera”

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FIRENZE. Davanti alle vetrine di lusso, stamani lunedì 29 settembre, c’erano le tende da campeggio. Una giustapposizione che vale più di mille slogan: da un lato il prezzo pieno di un giubbotto, 560 euro; dall’altro il cartone dei cartelli con scritto “Rispetto” e “Stop ai subappalti”. Gli operai di Alba srl, azienda pratese travolta da sfratti, accuse di aggressioni agli operai e inchieste della procura, hanno deciso di risalire la filiera e portare la loro protesta davanti alla boutique di Patrizia Pepe, in piazza Duomo a Firenze.

“Shame in Italy”, recita lo striscione aperto sui gradini, a pochi metri dall’ingresso. La campagna che denuncia il lato oscuro del made in Italy torna così sotto i riflettori. Perché se dietro un marchio internazionale ci sono catene di subfornitura opache e diritti negati, non è più un problema solo aziendale: è un problema di sistema.

La vertenza Alba – oltre cinquanta lavoratori coinvolti, molti dei quali migranti – si trascina da settimane. Prima il presidio permanente davanti ai cancelli di Montemurlo, poi i video delle aggressioni subite da alcuni operai durante uno sciopero, infine lo sgombero per morosità dello stabilimento e un’indagine della procura che per la prima volta scava anche nella filiera della moda. Un crescendo che ha spinto il presidente della Provincia, Simone Calamai, ad aprire un tavolo istituzionale per provare a ricucire la frattura.

Alcuni committenti hanno risposto all’appello. Altri no. Patrizia Pepe, per ora, ha scelto di restare fuori, dichiarandosi «estranea» alla vicenda e limitando il rapporto con Alba a servizi di stireria, pronta a rivedere anche quelli. Una presa di distanza che i lavoratori leggono come rimozione: «Se nel codice etico si parla di responsabilità sociale, non si può far finta di niente quando la filiera mostra crepe così profonde».

Il presidio di oggi davanti alla boutique è anche un avvertimento: se i brand non accetteranno di sedersi al tavolo provinciale, i lavoratori continueranno a presentarsi sotto le loro vetrine. Per costringerli a guardare da vicino quel tratto della catena produttiva che spesso resta invisibile.

Per i sindacati, la vertenza è un’occasione rara: convincere i marchi a non cambiare semplicemente fornitore, ma a cambiare sistema. Trasformare in pratica parole come trasparenza, etica, responsabilità sociale. «È l’unico modo – dice il responsabile dei Sudd Cobas, Luca Toscano – per evitare che dietro la moda restino solo macerie sociali».

Giovedì è fissato un nuovo incontro in Provincia. La domanda resta sospesa: chi si presenterà? Se i committenti resteranno alla finestra, i lavoratori continueranno a farlo dalla strada, davanti a quelle vetrine scintillanti che riflettono, oggi più che mai, anche il lato oscuro della moda italiana.

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