Il giallo
«Niente vantaggi per i balneari», indennizzi sempre più in bilico. Cosa può succedere dopo l’ultimo parere
Anche il Consiglio di Stato contesta i risarcimenti per chi perde le “aste”: è la seconda bocciatura dopo la Commissione Ue
VIAREGGIO. Sono sempre più in bilico gli indennizzi ai balneari che perdono le “aste” delle spiagge. Dopo il no della Commissione europea, arriva un’altra picconata: è quella del Consiglio di Stato, a cui i ministeri avevano chiesto un parere sul decreto – non ancora pubblicato – che prevede i risarcimenti a favore dei balneari usciti sconfitti dalle gare pubbliche. Il primo e più importante tribunale amministrativo del Paese, di fatto, considera l’indennizzo così come calcolato da Palazzo Chigi un vantaggio a favore del concessionario uscente, che mina la concorrenza e sfavorisce soprattutto chi ha minore accesso al credito e meno capitali a disposizione. In parole povere, è un assist non solo ai balneari, ma anche ai grandi gruppi finanziari.
Lo scontro sui soldi
Il parere del Consiglio di Stato era atteso: riguarda il decreto a firma dei due ministeri dell’Economia e delle Infrastrutture, che disciplinerà appunto gli indennizzi destinati a chi perde le “aste” previste in base alla direttiva Bolkestein. In questo decreto si spiega che «il concessionario uscente ha diritto al riconoscimento di un indennizzo a carico del concessionario subentrante pari al valore degli investimenti effettuati e non ancora ammortizzati al termine della concessione», nonché «pari a quanto necessario per garantire al concessionario uscente un’equa remunerazione sugli investimenti effettuati negli ultimi cinque anni». In soldoni (appunto), si parla di un risarcimento economico che copre tutti gli aspetti dell’attività dello stabilimento balneare: strutture fisse o di difficile rimozione come bar, ristoranti e cabine, strumentazione come gazebo, ombrelloni, sdraio e lettini; ma anche il patrimonio immateriale come il marchio, le licenze, i programmi elettronici e tutto ciò che è connesso. Insomma: come spiegavano i sindacati alcuni giorni fa, il decreto individuato dal ministro Matteo Salvini avrebbe consentito un recupero di quasi la totalità del valore dello stabilimento, in caso di uscita di scena. Il 7 luglio, però, la Commissione europea ha inviato una lettera in cui bocciava gli indennizzi, ritenuti un vantaggio per i concessionari uscenti, e quindi una lesione della concorrenza. Ora arriva anche il Consiglio di Stato, ed è un’altra mazzata sul decreto così come concepito da Salvini.
«No a vantaggi»
Sorvolando sulle critiche di natura tecnica che i giudici del Consiglio di Stato, presieduti da Luciano Barra Caracciolo, fanno al testo ministeriale – ritenuto troppo vago e indefinito – il nocciolo della questione sta nella natura obbligatoria dell’indennizzo. I giudici amministrativi non la condividono, aprendo a una possibile trattativa caso per caso. Perché «è evidente – scrivono i giudici – il rischio che il subentrante sia costretto ad accollarsi opere (e i relativi costi) che potrebbero essere agevolmente rimosse, accettando così uno stato di fatto del bene che potrebbe non corrispondere al proprio progetto imprenditoriale». In sostanza: chi dice che chi subentra nella concessione la vuole con quelle strutture e con quelle strumentazioni? Potrebbe volere la spiaggia vuota, per poi rimettere su un’attività come a suo piacimento. «L’operatore subentrante – si prosegue nel parere inviato da Palazzo Spada – vedrebbe compromessa o significativamente condizionata la possibilità di un’autonoma riorganizzazione dei beni destinati all’esercizio dell’impresa, anche sotto il profilo del complessivo costo amministrativo: il che si risolverebbe, appunto, in una forma surrettizia di vantaggio (cioè, di arricchimento reciprocamente ingiustificato) a favore del gestore uscente».
I rischi
Insomma: a detta del Consiglio di Stato «l’indennizzo per quanto “equo”, costituisce infatti un costo aggiuntivo che potrebbe, quando non adeguatamente calibrato e rigorosamente circoscritto, scoraggiare nuovi entranti, soprattutto se meno capitalizzati o con meno accesso al credito». Un riferimento chiaro a una sorta di corsia preferenziale che si creerebbe per i grandi gruppi economici, che non hanno problemi a trovare risorse – direttamente o tramite le banche – per saldare l’indennizzo. A danno delle imprese più piccole. È forse la prima volta che un tribunale nazionale fa accenno a una delle possibili conseguenze delle “aste”: al di là del destino dei balneari, le spiagge rischiano di finire in mano ai pesci grossi. L’altro rischio, il più immediato, è che il decreto così come immaginato da Salvini faccia una brutta fine: è un provvedimento amministrativo e quindi potrebbe essere “cassato” da un tribunale. E poi nella stessa maggioranza di Governo ci sono forti malumori. Si dice che il nuovo ministro degli Affari europei, Tommaso Foti (Fratelli d’Italia), sia assai indispettito con Salvini: l’obiettivo è chiudere i contenziosi con l’Europa, non aggravare quelli esistenti visto che la procedura d’infrazione sulla Bolkestein è tutt’altro che archiviata. Anzi, può andare avanti e portare a multe salate per l’Italia.
Le reazioni
Al momento fonti del ministero di Infrastrutture e trasporti assicurano che Salvini va avanti «per tutelare le 30mila imprese balneari italiane». Le associazioni di categoria lo sostengono, ma sanno che il Governo è tutt’altro che affidabile su questo punto. Ed entro il 2027 le spiagge dovranno essere messe a gara, a prescindere dagli indennizzi.