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L’addio di Viareggio a Donatella Francesconi: «Ha cambiato la nostra storia»

di Melania Carnevali
L’addio di Viareggio a Donatella Francesconi: «Ha cambiato la nostra storia»<br type="_moz" />

I familiari delle vittime della strage: senza di lei sarebbe andata diversamente. La figlia della giornalista del Tirreno: amava me e il lavoro, ora capisco quanto fosse importante per la città

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VIAREGGIO. Per lei «era un’amica, oltreché una giornalista che ho sempre stimato», dice Carla Vivoli, presidente della Croce verde. È qui che ieri pomeriggio è stato dato l’ultimo saluto a Donatella Francesconi, giornalista de Il Tirreno scomparsa giovedì a 63 anni dopo una malattia. Proprio qui, dove la notte del 29 giugno del 2009 le fiamme, provocate dall’esplosione del gas fuoriuscito da una cisterna deragliata, distrusse ambulanze, il garage e ferì alcuni volontari. Una strage che Donatella aveva raccontato dai primi minuti e su cui aveva continuato a tenere i riflettori accessi anche quando la notizia scorreva agli ultimi posti per poi scomparire dalle agende setting delle testate nazionali. Donatella era anzitutto la giornalista della strage, oltreché il faro della cronaca di Viareggio.

Non a caso, ieri, nella sala Benvenuto Barsanti della Croce verde, piena di gente, c’erano anche i familiari delle vittime a ricordarla. C’era Daniela Rombi che ha ricordato «che è stata Donatella a scoprire, leggendo le carte, perché leggeva tutto, che la perizia sulle vernici era falsa perché non c’era la firma». Senza di lei, ha detto «la storia non sarebbe stata la stessa». C’era anche Marco Piagentini che ha ricordato «la sua professionalità sul lavoro, la sua immensa capacità di ascoltare e di arrivare dove gli altri non riuscivano ad arrivare». Poi c’era il mondo politico, sia di destra sia di sinistra, c’erano i sindacati, c’era la presidente del Carnevale, Marialina Marcucci, c’era il mondo del volontariato, c’erano commercianti, medici. Perché Donatella era così: si appassionava a tutto e si occupava di tutto, dalle grandi cronache giudiziarie alle più piccole storie di vita quotidiana. Faceva zoom dove gli altri rimpicciolivano.

«Era una purosangue del giornalismo», ha detto l’assessore provinciale ai trasporti Stefano Baccelli (Pd). «Era il simbolo della battaglia», ha detto invece Massimiliano Baldini, consigliere regionale (Lega) ricordando che «oltre a essersi impegnata per la strage, era in prima linea contro la mafia». L’ex sindaco di centrosinistra di Viareggio Andrea Palestini ha ricordato «le telefonate serali in cui facevamo il punto di quanto accaduto nella giornata: non avevo capito quanto fossero importanti fino a quando non ho più potuto farle perché lei non riusciva più a parlare».

«Dove c’era una battaglia di lavoratori, lei c’era», ha aggiunto il segretario della Fiom di Lucca, Nicola Riva. Virginio Bertini, ex sindacalista della Cgil, ha ricordato quella che forse è stata la sua prima battaglia sul territorio. «Venne da me nel 1999 e mi disse: “Oh, lo sai vogliono sgomberare i rom, che si fa? ”. Perché lei faceva così: dava input, faceva riflettere. Alla fine lanciò lo sciopero della fame». Commosso, l’ex medico del pronto soccorso, Enrico Pietri, che ha preso la parola per ricordarla «come una meraviglia di donna, di madre e di giornalista». Per la presidente del Carnevale era «leale, diretta, generosa. Anche quando non andava d’accordo. Mi ha insegnato a cogliere l’anima dei carristi». Tanti anche i colleghi che hanno preso la parola. Come Cesare Bonifazi, ex giornalista de Il Tirreno che per sette anni ha condiviso la stanza con Donatella nella redazione di via Coppino («descriverla non è semplice – ha detto – : era contraddittoria, spigolosa, ma era anche famiglia. Per me era stata una guida anche dopo che ho lasciato il giornale»), o come Cristina Bulgheri, anche lei ex giornalista de Il Tirreno («sarà difficile girare l’angolo in via Coppino e non vederla più sulla sua bicicletta»). Poi, ovviamente, c’era la famiglia. La figlia, Rossana Terruzzi, che, in lacrime, ha ringraziato le persone intervenute per averle «fatto capire quanto mia mamma tenesse al lavoro. Sapevo che amava due cose nella vita: me e il lavoro. A volte glielo rimproveravo. Ora ho capito quanto fosse importante per la città». C’era la nipote, Dunia, per cui Donatella era «un’amica, una confidente, anche una seconda mamma». E le due sorelle. A prendere la parola è stata Viviana che ha raccontato le corse in bicicletta da piccole, il Venezuela (dove sono nate), la musica che cantavano insieme. E per ricordarla ha chiuso proprio con una canzone, “La locomotiva” di Guccini, che oggi più che mai le ricorda Dona: «Che ci giunga un giorno ancora la notizia di una locomotiva come una cosa viva, lanciata a bomba contro l’ingiustizia».
 

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