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Il caso

Viareggio, barman morto per legionellosi a 38 anni: “scagionati” clinica e ospedale

di Pietro Barghigiani
Viareggio, barman morto per legionellosi a 38 anni: “scagionati” clinica e ospedale

Le consulenze del Tribunale non hanno accertato il luogo del contagio

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VIAREGGIO. La diagnosi più accreditata per spiegare la causa della morte del paziente fu quella di “legionellosi polmonare con probabile vasculite autoimmune”. Dove e quando la legionella avrebbe iniziato a debilitare fino a portarlo al decesso l’allora 38enne, barman conosciuto in Versilia, non è stato accertato. Quelli che per i familiari erano i luoghi del possibile contagio – casa di cura di Lucca e ospedale Versilia – sono stati “assolti” per il legittimo comportamento di singoli medici e regolarità delle strutture sanitarie.

Dopo in primo no alla richiesta danni presentata da una sorella dell’uomo con una sentenza depositata nell’agosto 2020, arriva ora un secondo rigetto delle richieste degli altri familiari del barman scomparso nel 2015. Nel corso del procedimento davanti al giudice Alice Croci le consulenze dei tecnici nominati dal Tribunale lucchese hanno escluso responsabilità personale e di sistema per la morte dell’uomo.

Operato il 3 febbraio 2015 per una fistola in una casa di cura a Lucca, il 38enne non si era mai ripreso del tutto lamentando quelli che sembravano sintomi influenzali tanto che il medico di famiglia il 31 gennaio lo aveva visitato sconsigliandolo di sottoporsi all’intervento o comunque di informare il chirurgo che lo avrebbe operato. Erano trascorsi giorni di malesseri continui che non passavano neanche con gli antibiotici. E così il 25 febbraio si era presentato al pronto soccorso. Entrato in codice verde, per l’uomo il quadro clinico si era aggravato in maniera repentina tanto da classificare il caso in codice rosso e richiedere il ricovero in terapia intensiva.

È l’inizio di un calvario che scandisce i suoi ultimi giorni di vita. Il 3 marzo viene deciso il trasferimento in elisoccorso a Careggi e dopo giorni di coma il 16 la morte pone fine alle sofferenze del 38enne. Quando il 28 febbraio gli esami delle urine avevano accertato la presenza di legionella polmonare, l’Asl avevano mandato i suoi tecnici nell’abitazione dell’uomo alla ricerca di possibili fonti di contagio che, però, non vennero trovate.

Per i familiari il batterio dall’effetto killer non poteva che essere entrato nel corpo del paziente tra la casa di cura e il Versilia. Una tesi respinta dal collegio peritale e fatta propria dal giudice almeno nei termini di ragionevole certezza sull’origine dell’infezione nosocomiale – frequente negli ospedali – ai danni del barman. I periti nominati dal Tribunale hanno concluso la sua consulenza «valutando l’operato dei sanitari dell’ospedale Versilia che hanno avuto in cura il paziente dal 25 febbraio e sino al 3 marzo 2015, data di trasferimento dello stesso presso il reparto di Rianimazione di Careggi, corretto ed aderente alla buona pratica clinica e si ritiene che la diagnosi non si sarebbe potuta giovare di una tempistica più precoce».

Quanto poi alla riconducibilità o meno dell’infezione da legionella all’intervento chirurgico di fistolectomia nella casa di cura hanno riportato «che dalla documentazione a disposizione non è possibile formulare ipotesi in riferimento al luogo dove possa essere avvenuto il contagio, in tutti i modi, appare poco probabile che questo possa essere avvenuto in occasione del ricovero in day-surgery presso la casa di cura di Lucca il 3 febbraio 15, per il limitato periodo di permanenza dello stesso nella struttura sanitaria, peraltro con impianto di condizionamento non funzionante».

Andando nel dettaglio viene esclusa la responsabilità della clinica privata sottolineando che «i primi sintomi di impegno respiratorio comparvero il 22 febbraio 2015, ossia a distanza di 19 giorni dal breve ricovero, che rappresentano un periodo troppo lungo per giustificare un contagio nella struttura sanitaria, avendo l’infezione da legionella una incubazione che va da 2 a 10 giorni».

“Scagionata” la casa di cura, l’esame delle presunte responsabilità ha ribadito la regolarità delle pratiche seguite all’ospedale Versilia. «Esenti da censure si sono dimostrate le condotte tenute dai sanitari dell’ospedale Versilia nel corso del ricovero dal 25 febbraio al 3 marzo 2015». Nessun risarcimento per i familiari che sono stati condannati a pagare le spese legali per oltre 10mila euro a favore di casa di cura e Asl.




 

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