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Strage di Viareggio, sentenza non tradotta e il processo di Appello-bis slitta: «Giudici da licenziare»

Donatella Francesconi
I familiari delle vittime della strage a Firenze
I familiari delle vittime della strage a Firenze

I familiari della vittime nuovamente in aula a Firenze per la prima udienza, ma quasi sicuramente ci sarà un rinvio: in sei mesi dal deposito delle motivazione la sentenza di terzo grado non è stata tradotta in tedesco

07 marzo 2022
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VIAREGGIO. Sale sulle ferite di un dolore indicibile che da tredici anni si rinnova ogni giorno. È l’effetto dell’ultima doccia gelata che i familiari delle 32 vittime del disastro ferroviario di Viareggio devono subire, oggi che – alla vigilia del processo di Appello-bis disposto dalla Corte di Cassazione – si è scoperto che vi sarà un rinvio inevitabile dato che in sei mesi dal deposito delle motivazione, la sentenza di terzo grado non è stata tradotta in tedesco. Con otto imputati tutti residenti in Germania e i loro avvocati che, dunque, non hanno letto nella propria lingua il giudizio che li riguarda. «Non ci credo più nella giustizia», dichiara al Tirreno Daniela Rombi, vice presidente dell’associazione “Il Mondo che vorrei” nata per riunire i familiari delle vittime del deragliamento del treno carico di Gpl, «e per forza ci devo provare. Ma è una disillusione totale».

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Rombi utilizza parole tratte dalla vita reale, quella del suo lavoro di dipendente pubblico oggi in pensione: «Ci sono scadenze che vanno rispettate, altrimenti come minimo arrivano le lettere di richiamo che vanno nel curriculum personale. E il ministro Cartabia vuole che in tre anni si faccia un processo?Ma vada a svegliare i giudici, vada». Rombi – che in quella maledetta notte ha perso la figlia Emanuela, 21 anni, deceduta dopo 40 giorni di agonia per le ustioni riportate – non usa mezzi termini: «La nostra vicenda è stata un fallimento totale della Giustizia: non c’è una cosa che sia andata come doveva».

Ancora più drammatico se si pensa – come ribadiscono i legali delle parti civili – che sulle responsabilità per quanto accaduto a Viareggio e le relative condanne – neppure la Cassazione ha fatto un passo indietro rispetto ai giudici di primo e secondo grado (Tribunale di Lucca e Corte d’Appello di Firenze, terza sezione penale: «I prescritti non andranno in carcere ma saranno sempre colpevoli. E dovranno fare i conti con la propria coscienza», è la voce di Silvano Falorni, uno dei familiari sempre presenti nelle aule giudiziarie per cercare verità e giustizia per 32 morti, compreso suo fratello Andrea, 50 anni, e sua cognata, Maria Luisa Carmazzi, 49 anni. «Non so che scusa troveranno domani», aggiunge Falorni in riferimento alla mancata traduzione a al rinvio del processo: «A loro non interessa niente. Le vite umane non contano niente».

È sempre lucida l’analisi di Andrea Maccioni, anche lui sempre in aula in nome di sua sorella, Stefania, e dei nipotini Luca e Lorenzo Piagentini, morti a 5 e 2 anni: «Ho la conferma che la Giustizia in Italia non esiste. Adesso non si tratta più di lottare per avere giustizia, ma di continuare la nostra battaglia per la prevenzione degli incidenti ferroviari e sul lavoro. Consapevoli che abbiamo a che fare con un sistema in cui costa meno accettare il rischio e pagare le eventuali vittime che mettere in atto tutto ciò che può evitare incidenti e disastri. Se ricorri alla Giustizia, chi ha più potere ne esce sempre vincitore. Non ci sono più parole».

Eppure i familiari delle vittime della strage di Viareggio le parole ancora una volta le hanno trovate. Lette agli altoparlanti dell’ultimo Corso di Carnevale, per voce di Antonietta Maccioni, sorella di Stefania, con il sottofondo di “Imagine” di Lennon: «Avremmo voluto che Viareggio fosse stato di insegnamento, avremmo voluto che chi di dovere si fosse “appropriato” delle motivazioni del primo e secondo grado affinché le Ferrovie italiane diventassero un po’ più sicure. Ma, niente. Nessuno vuole scardinare quel sistema che porta tanto profitto e non importa se ogni tanto qualcuno muore. La dimostrazione è stata proprio la sentenza di Cassazione. Le aziende sono state preservate con il non riconoscimento dell’incidente sul lavoro, il sistema è uscito indenne e le aziende possono continuare a spremere i lavoratori per il loro profitto e continuare con la politica di abbandono sulla sicurezza».

E non fa sconti, Marco Piagentini, presidente della associazione “Il Mondo che vorrei”, uno dei sopravvissuti alla tragedia che gli ha strappato la moglie Stefania e i figli Luca e Lorenzo, oltre ad avergli lasciato addosso i segni indelebili delle ustioni: «Qui si capisce chiaro qual è la direzione. Non si può pensare che una Suprema Corte si dimentichi le traduzioni in un processo in cui la metà degli imputati è tedesca. In un’azienda privata sarebbero stati tutti licenziati. Questo rimarca quando siano incompetenti e incapaci. Dovrebbe intervenire il ministro della Giustizia. E noi, dopo l’udienza scriveremo al ministro della Giustizia e al Consiglio superiore della magistratura chiedendo che vengano presi provvedimenti. È un fatto gravissimo: dodici anni che siamo nelle aule di Tribunale e questi si dimenticano la traduzione. È inconcepibile».

Non rimane che capire – dall’udienza di oggi – quanto la necessaria traduzione finirà per allungare ulteriormente i tempi di un iter giudiziario che ha visto l’udienza preliminare aprirsi a fine marzo 2013 e le motivazioni del terzo grado di giudizio (Cassazione) depositata ai primi di settembre dello scorso anno.

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