Grande Fratello, il padre di tutti i reality è in crisi. Il sociologo: «Modello superato, cosa funziona adesso e perché»
Il 30 ottobre registrato il numero più basso di ascolti del reality e Mediaset ha deciso di ridurre gli appuntamenti. Carlo Sorrentino, professore ordinario di Sociologia dei processi culturali e comunicativi all’Università di Firenze: «Si è consumato per troppo successo»
Per un format che nasce già Grande (Fratello), rimpicciolire nel corso degli anni, fino a rischiare di scomparire, è complicato se non ti chiami Benjamin Button e sei capace di rinascere. Soprattutto dopo aver cambiato, in 25 anni di storia in diretta, la tv e il rapporto tra telespettatore e notorietà; sbriciolando tra amplessi, tuguri, confessionali e flatulenze in mondo visione, il muro che prima che venissero aperte le porte della “Casa”, divideva la sfera pubblica da quella privata davanti a una telecamera. E, di fatto, spianando la strada ai social, prima dei social. In altre parole rivoluzionando il costume di un Paese e il suo linguaggio («Sei stato nominato», è diventata una frase di uso comune). E tracciando un confine netto tra il prima e il dopo nella cultura popolare e forse anche sociopolitica dell’Italia post novecentesca.
Appuntamenti ridotti
Ecco perché il picco più basso di ascolti registrato giovedì 30 ottobre dal programma padre di tutti i reality (tornato quest’anno ai concorrenti sconosciuti) e il successivo annuncio di Mediaset di ridurre da due a uno gli appuntamenti in prima serata (diretta oggi alle 21,20 su Canale 5), segna la fine di un’epoca. Oltre a certificare il primo sintomo di una morte annunciata. Un destino – ironia (ma non troppo) della sorte – anticipato dall’ultima parodia del programma fatta dalla Gialappa’s col “Grande Fratello Rip” al quale partecipano grandi personaggi scomparsi, da Pavarotti a Troisi.
Un format rivoluzionario
Spiega Carlo Sorrentino, professore ordinario di Sociologia dei processi culturali e comunicativi all’Università di Firenze: «Nel 2000 il format del Grande Fratello era innovativo perché invertiva la logica televisiva. L’idea era quella di prendere un uomo o una donna della strada e farli diventare delle star: il signor nessuno valeva Richard Gere. Questo meccanismo funzionava perché non c’era niente di simile in giro in quel periodo. Generando così un processo di identificazione da parte del pubblico: seguivi i ragazzi nella “Casa” e ti immedesimavi nei loro problemi che erano i tuoi». Chi si sentiva Pietro Taricone, chi Cristina Plevani (che vinse la prima edizione), chi Marina La Rosa, chi Salvo Veneziano. E lo share aumentava ogni settimana, ad ogni edizione, fino a riuscire addirittura a battere, nel 2004, il Festival di Sanremo.
Uno vale l’altro e uno vale uno
Eppure quel format, allora così rivoluzionario, presentato in prima serata su Canale 5 fu una scelta difficile. Leonardo Pasquinelli, all’epoca capo dell’intrattenimento Mediaset, ha svelato al Corriere della Sera che «quando è arrivato il Grande Fratello ci fu una grande discussione, in azienda c’era chi sosteneva che fosse un programma ai limiti della moralità e spingeva per trasmetterlo in seconda serata su Italia 1». Addirittura la scelta della conduttrice, Daria Bignardi, derivò dalle stesse discussioni: «Fu essenziale per mitigare l’impatto critico in un Paese cattolico come il nostro. Era il volto giusto per unire alto e basso, per dare un manto borghese e rispettabile a uno show popolare e indecente». Si parla del Grande Fratello e dell’uno vale l’altro, e sembra di ascoltare l’uno vale a uno, slogan dei Cinque Stelle. Perché in fondo la tv non è lo specchio della società? E forse non è un caso che Rocco Casalino, ex concorrente del GF1, del Movimento sia stato un sodale fino a pochi giorni fa. «Il paragone ci sta – conferma Sorrentino – e come il Grande Fratello, anche il Movimento, che doveva “aprire il Parlamento come una scatoletta di tonno”, alla fine è stato inglobato dal sistema».
I motivi della crisi
Per il Grande Fratello i motivi della crisi sono evidenti nonostante i tentativi di rianimare il format con edizioni para vip. «Il modello – fa notare Sorrentino – si è consumato per troppo successo. Adesso per vedere uno sconosciuto fare qualcosa che mi interessa non ho più bisogno di mettermi davanti alla tv, basta andare sui social. Al contrario nei reality che funzionano (X Factor e Amici) è necessario saper fare qualcosa, cantare o ballare, insomma avere un talento. Il futuro? C’è sempre di più una destrutturazione del prodotto, siamo passati dal palinsesto alla frammentazione. Il modello Netflix. E anche le narrazioni che passavano attraverso la tv verità ora passano dalla serialità, in forma di fiction, come per la serie “Il Mostro”».
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