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Doping e ricatti nel ciclismo pro, inchiesta Vini Zabù: i coinvolti e il meccanismo sotto accusa

di Luca Signorini

	Il ciclismo ancora alle prese con il doping
Il ciclismo ancora alle prese con il doping

Pistoia, chiesto il rinvio a giudizio per dieci tra ex atleti e dirigenti del team di Lamporecchio. L’ipotesi dell’accusa: «Licenze comprate all’estero per gareggiare con i campioni»

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LAMPORECCHIO. Il mondo del ciclismo torna nelle aule dei tribunali con la vicenda dell’ex team professionistico Vini Zabù di Lamporecchio (Pistoia), che ha cessato l’attività nel 2022 proprio all’indomani del terremoto giudiziario emerso l’anno prima e che in questi giorni è arrivato alla conclusione di «complesse indagini» durate quattro anni.

Lunedì, davanti al giudice per l’udienza preliminare del Tribunale di Pistoia, dieci persone dovranno comparire in aula. I reati contestati e per i quali chi indaga ha richiesto il rinvio a giudizio sono doping (articolo 586 bis del codice penale: utilizzo o somministrazione di farmaci o di altre sostanze al fine di alterare le prestazioni agonistiche degli atleti) a carico di sette atleti (ed ex) del team e il direttore sportivo al momento dei fatti; e in merito al presunto coinvolgimento nella pratica del cosiddetto “paga per correre”, a carico di tre indagati ai quali viene contestata l’estorsione in concorso in danno di diversi ciclisti.

Coinvolti nell’inchiesta ci sono il team manager dell’epoca Angelo Citracca, 56 anni, romano residente a San Baronto (Lamporecchio) , e il direttore sportivo Luca Scinto, fucecchiese di 57 anni residente a Quarrata (Pistoia) , entrambi con un passato di professionisti delle due ruote. Poi il corridore laziale Matteo De Bonis, risultato positivo all’Epo a un controllo del 12 marzo di quattro anni fa non durante una gara ma fuori competizione: richiesto dall’Unione ciclistica internazionale ed eseguito dall’agenzia italiana.

Proprio da questa circostanza è partita l’inchiesta coordinata dalla Procura di Pistoia e condotta dai carabinieri del Nas di Firenze, che nel 2021 portò a effettuare ventiquattro decreti di perquisizione nei confronti dei dirigenti del team e degli atleti, con accertamenti anche nella sede della società sul San Baronto, l’officina e il magazzino della stessa, alla ricerca di farmaci proibiti o altre prove che potrebbero avvalorare l’ipotesi di reato contestata. La positività di De Bonis (che faceva seguito a quelle riscontrate in altri atleti della stessa società, l’ultima di Matteo Spreafico durante il Giro d’Italia nel 2020) si è unita a un report riservato dell’Agenzia antidoping della Svizzera scaturito da segnalazioni anonime sulla piattaforma dedicata di quell’organizzazione.

Le segnalazioni descrivevano nel dettaglio «condotte di doping, forti pressioni psicologiche, presunte vessazioni ed estorsioni da parte dei manager sportivi ai danni degli atleti, costretti a restituire parte del loro ingaggio per correre con la Vini Zabù». Grazie alla collaborazione con la Nado svizzera, gli investigatori del Nas hanno identificato gli atleti che hanno confermato le ipotesi, rivelando un meccanismo per reclutare ciclisti di minor livello per farli gareggiare nel professionismo. Questi – è la tesi dell’accusa – avrebbero dovuto pagare per ottenere un contratto attraverso una società di comodo con sede in Irlanda, «solo a seguito di corresponsione di grosse somme di denaro, ovvero con l’impegno alla restituzione totale e parziale degli stipendi, sottoponendoli poi alla minaccia di esclusione della attività agonistiche in caso di mancata corresponsione di quanto pattuito – evidenziano i carabinieri – in alcuni casi ai ciclisti veniva fornita, sempre a pagamento, una licenza di atleta professionista acquisita dalla squadra, con metodi corruttivi, presso Federazioni sportive compiacenti di altri Paesi, simulando anche trasferimenti di residenza all’estero, di fatto mai avvenuti».

È questa la pratica del cosiddetto “paga per correre”, che gli inquirenti considerano propedeutica all’utilizzo di sostanze dopanti, «aprendo infatti al professionismo nei confronti di soggetti non in possesso delle doti fisiche per competervi, e che quindi per cercare di emularle vengono di fatto costretti a ricorrere all’aiuto farmacologico», spiegano i Nas fiorentini.

Al contempo, questa serie di presunte condotte illecite avrebbero agevolato il meccanismo del cosiddetto “doping finanziario”, che permetterebbe di arrivare al mondo professionistico del ciclismo e anche all’accesso alle sponsorizzazioni a compagini sportive che sarebbero state invece prive delle risorse economiche necessarie a corrispondere ingaggi reali ad atleti di tale livello. 

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