Elezioni regionali in Toscana, il M5s spaccato su Giani: campo largo o campo minato? E Conte si affida a SkyVote
Il quesito chiede se si preferisce correre da soli o allearsi con il Pd
Parla di «grande frattura» fra gli iscritti in regione, dice che appoggiare Giani e realizzare il campo largo in Toscana resta «il grande dilemma», che i Cinquestelle sono «dilaniati, lacerati» perché son cinque anni che a Giani e al Pd i grillini danno botte da orbi, che alle politiche «non progressiste» della classe dirigente ex renziana si oppongono da sempre. Vuole un accordo, chiaro, scritto, nero su bianco.
Nel suo modo professorale Giuseppe Conte ha trovato un’uscita di sicurezza dal roveto toscano: non decidere lui, e far decidere la base. Una tecnica antica, ma qui si torna agli albori, alla democrazia diretta (Casaleggio memories). Lo annuncia in diretta social. Dopo minuti passati a tirare stoccate a Giorgia Meloni, l’ex premier torna al cuore di tenebra del M5s: la piattaforma online, il voto degli iscritti, la nostalgia canaglia per i tempi di Casaleggio senior e delle assemblee digitali infuocate. Ma questa volta non si tratta di cacciare il ministro Cingolani o di abolire l’obbligo vaccinale.
Qui la questione è ben più sottile, e rischiosa: allearsi col Pd in Toscana, appoggiare Giani, il governatore uscente, uomo d’apparato, l’ex renziano e già bersaglio per 5 anni dei grillini. S’è deciso di non decidere lunedì sera, racconta. Riunione online con tutti i coordinatori provinciali del Movimento in Toscana. Conte ascolta. Al suo fianco Paola Taverna, sacerdotessa della linea ortodossa ma propensa alla nuova confessione del campo largo. Si va avanti per quattro ore, dalle nove all’una. Si parla di ambiente, salari, consorzi industriali, ma anche – e soprattutto – di identità e rancori sedimentati. Perché in Toscana, dove il M5s siede su un consenso fatto più di memoria che di realtà (i sondaggi quotano il 5%), Giani è un trauma vivente.
L’alleanza con lui, dice Conte, «sarebbe un sacrificio enorme». Lo dice anche perché – nonostante i segnali distensivi arrivati dal Pd, e da Schlein e le tante riunioni a «tutti i livelli» – la base è lacerata. «Dilaniata». Da Carrara a Empoli, da Livorno a Grosseto, le resistenze sono ostinate. Quelle che una volta si chiamavano correnti interne, qui si manifestano sotto forma di comitati locali che si oppongono a ogni compromesso.
Il problema è che la coalizione c’è già, i tavoli si sono tenuti, Giani è «il candidato avallato», e il Movimento – si capisce – non ha avuto voce in capitolo. E allora che si fa? Si fa votare. Un quesito, che verrà caricato sulla piattaforma SkyVote, chiederà agli iscritti se preferiscono correre da soli (col rischio reale di non entrare nemmeno in consiglio regionale) o allearsi col Pd, ma solo a certe condizioni: un patto scritto, con dentro tutto – dai programmi ai nomi, fino, ça va sans dire, ai posti. Perché il Movimento è al 5% nei sondaggi, la soglia minima per avere rappresentanza per chi corre in solitaria che scende al 3% in coalizione. Non si vince da soli, non si sopravvive da soli. Ma chi ci ha costruito una carriera sull’essere alternativi al Pd, oggi si trova nel paradosso di dover abbracciare ciò che ha sempre rifiutato.
E allora Conte che fa? Si tira fuori. «Decidano gli iscritti», dice, «non solo i coordinatori». Voce alla base. Una manovra abile, per non spaccare ulteriormente il M5s, non sconfessare nessuno, prender tempo.
Dal canto suo, Giani continua a ostentare fiducia. Dice di sperare che «il campo largo maturi nei prossimi giorni», che «il lavoro programmatico paziente fatto fin qui possa portare a risultati positivi». Ma in cuor suo sa che tutto si deciderà in 24 ore o poco più, quando il voto online si chiuderà appena prima dell’inizio della direzione regionale del Pd, fissata per le 21 di domani, quella in cui il segretario toscano Emiliano Fossi dovrà formalizzare la coalizione, e capire se il M5s ne farà parte o meno. E le chance che il campo largo vada dal Pd al M5s, da Avs a Italia Viva si assottigliano. Dietro le quinte, intanto, si negozia. Circola il nome di Irene Galletti, capogruppo in consiglio regionale, come possibile vicepresidente in caso di alleanza. Una moneta di scambio, dicono i maliziosi. Ma Conte sa che il rischio è di passare per quello che “baratta” l’identità per un posto in giunta, rischio letale per chi, ancora oggi, si definisce portavoce. Ecco perché, anche nella diretta social, Conte fa attenzione alle parole. Parla di campo largo come «dilemma», non come progetto. Di «sacrificio», non di scelta. E mentre apre al dialogo con De Luca in Campania e tesse lodi misurate a Decaro in Puglia, in Toscana aspetta il verdetto della rete. Il dato politico è che, a distanza di anni dalla nascita, il M5s è ancora lì: aggrappato a una forma di partecipazione diretta che spesso serve solo a non assumersi responsabilità. E che finisce, come in questo caso, per delegare tutto a un algoritmo. Ma questa volta l’esito del voto potrebbe non essere scontato.
I militanti più affezionati all’identità originaria sono ancora tanti, e spesso i più attivi. Se diranno no, la Toscana diventerà il teatro di un esperimento movimentista forse terminale, il ritorno alle origini come gesto di disperazione. Se diranno sì, sarà comunque una resa, seppur con onore. Un ingresso in coalizione da comprimari, col cappello in mano. Non a caso i dem si mostrano flemmatici «È un modo per farsi dare un mandato, alzare la posta senza rischiare rotture», sono convinti dal Pd schleiniano. Calma e gesso. In fondo Conte subordina l’accordo a un patto, non un caso che il quesito proposto agli iscritti ieri sera non formuli una scelta manichea “sì o no”, ma offra l’opzione del niet a Giani o del via libera a cercare un’alleanza che renda il M5s «protagonista» e «centrale». La democrazia è sempre stata diretta, del resto, ma parecchio vaga. Casaleggio reload.