Il Tirreno

Toscana

Sanità Toscana in crisi, medici senza ferie e reparti chiusi d’estate

di Matteo Rossi
Sanità Toscana in crisi, medici senza ferie e reparti chiusi d’estate

Manca personale: turni infiniti e taglio ai posti letto. «A Pisa cento anni di riposi non ancora goduti»

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Ferie faticosamente ritagliate a spese di chi rimane al lavoro, turni infiniti e posti letto tagliati. Quest’estate, per centinaia di medici e operatori sanitari toscani, la pausa estiva – che da contratto deve durare due settimane consecutive – comporterà la chiusura temporanea di reparti, la riduzione dei letti e un ulteriore sovraccarico su un sistema sanitario regionale già in affanno. Un fenomeno non isolato, ma che investe tutte le aziende sanitarie toscane.

«Nei pronto soccorso è difficile garantire i riposi minimi» spiega Gerardo Anastasio, segretario regionale Anaao Assomed Toscana, sindacato dei medici ospedalieri. «Per far andare in ferie un collega bisogna farne arrivare uno da un altro reparto, come succede al pronto soccorso di Arezzo».

La misura del problema la dà l’Azienda ospedaliera universitaria pisana. «Qui – spiega Anastasio – si stima si superino i cento anni di ferie non godute accumulate». Un record. «La direzione – prosegue – ha chiesto ai dirigenti medici di pianificare un piano di recupero, ma la situazione è così grave che spesso le ferie vengono rimandate ancora».

E se non vengono usufruite, vanno pagate, ma nessuno ha interesse ad accumularle.

In Toscana il problema ha radici profonde e strutturali. Nonostante un incremento temporaneo del personale nel biennio post-Covid (2021-2022), la situazione si è di nuovo contratta.

«Abbiamo avuto circa 4.500 assunzioni nel comparto medico e sanitario, ma poi senza lo sblocco delle assunzioni da parte del governo, la Regione ha dovuto necessariamente procedere con un ridimensionamento», sottolinea Pasquale D’Onofrio, dirigente sindacale della Cgil Medici Toscana. «Dal 2009 vige un blocco delle assunzioni. Rispetto al 2004 siamo ancora sotto dell’1,4% per quanto riguarda il personale, mentre nel frattempo la popolazione è invecchiata e i bisogni assistenziali sono cresciuti enormemente. Senza contare i fondi: negli ultimi anni hanno subito un taglio di 20 miliardi di euro. Risorse che, se investite nel personale, avrebbero dato ossigeno a un sistema al collasso».

A farne le spese è soprattutto la sanità d’urgenza. I medici del pronto soccorso sono sempre meno, turni e carichi aumentano, e le nuove generazioni scelgono altre strade. «Stiamo assistendo a una distorsione indotta da logiche di mercato nella sanità pubblica» continua D’Onofrio. «Chi si specializza punta alle branche più redditizie come dermatologia, chirurgia plastica, oculistica. Nel frattempo restano sguarnite le aree a vocazione pubblica: medicina d'urgenza, anestesia, chirurgia generale. E questo produce un'anomalia grave. Un sistema sanitario è un organismo armonico: se manca il microbiologo, ad esempio, non si può decidere una terapia antibiotica in modo corretto».

Anche i medici di famiglia vanno in ferie in estate e questo si ripercuote sui pronto soccorso. «Gli anziani non trovano risposte sul territorio e si riversano in pronto soccorso. Ma il personale è sempre lo stesso. Siamo abituati a questi problemi – aggiunge Anastasio– ma non possiamo rassegnarci. I concorsi vanno deserti, i medici non partecipano. Come Anaao siamo stati promotori del cosiddetto “decreto Calabria”, che consente agli specializzandi di lavorare in ospedale con contratti di formazione-lavoro, più remunerativi e tutelati. In Italia ci sono 50mila specializzandi, ma solo 6mila sono stati assunti. Servirebbe un impegno deciso da parte del governo».

Tra le proposte del sindacato c'è anche la creazione di strumenti di welfare integrato per rendere più attrattivo il lavoro negli ospedali pubblici: «Non bastano i soldi – continua Anastasio – servono servizi: nidi aziendali, trasporti agevolati, convenzioni con palestre e centri sportivi. Un esempio positivo è stato il Progetto Elba: per evitare la chiusura dell’ospedale di Portoferraio la Regione ha previsto un bonus settimanale di 2mila euro, l’alloggio pagato o a prezzi calmierati e incentivi per la famiglia. In quel caso ha funzionato. Servono politiche di questo genere per rendere le specializzazioni a vocazione pubblica più attrattive».

La Toscana, in alcuni casi, ha provato a intervenire. Recentemente la Regione ha stanziato 25 milioni di euro per rimpinguare i fondi salariali aziendali, colpiti da anni di blocco. Ma rispetto ai guadagni di molti paesi esteri sono sempre pochi.

I dirigenti sanitari guadagnano il 18% in meno rispetto alla media Ocse, mentre gli infermieri toscani arrivano fino al 25% in meno. «Non è un caso se i nostri professionisti se ne vanno all’estero» osserva D’Onofrio, «Le facoltà sanitarie hanno sempre meno iscritti. Senza correttivi, la carenza cronica è destinata ad aggravarsi».

Intanto l’estate è arrivata, e con essa la consueta, drammatica, riorganizzazione interna. Turni doppi, medici che saltano le ferie da uno o più anni, e posti letto che chiudono temporaneamente. «Mentre i decisori politici restano nascosti dietro le loro poltrone, i sanitari sono sempre in prima linea» conclude D’Onofrio. «I cittadini sono esasperati, e si rivolgono a noi perché siamo la faccia visibile del sistema. Ma se non cambia la visione complessiva, se non si investe con coraggio e coerenza, la sanità pubblica continuerà a perdere pezzi».

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