Iran, l'esperto: «Da Hormuz ai sabotaggi, ecco cosa rischia l’Italia»
L'intervista Pietro Batacchi. direttore della rivista Difesa: «Dobbiamo cercare di vivere in sicurezza in un mondo complicato»
Il titolo della sua tesi di dottorato sembra una profezia, “Democrazie e guerra”. Era il 2008. Pietro Batacchi, direttore di “RID – Rivista Italiana Difesa” ha appena terminato il suo intervento a “In mezz’ora”, la trasmissione domenicale di Rai3 condotta da Monica Maggioni in cui si è parlato dell’attacco Usa all’Iran con i massimi esperti italiani di politica internazionale.
Direttore, partiamo dalla domanda che ci stiamo facendo tutti: quanto ci dobbiamo preoccupare rispetto a ciò che sta accadendo?
«Guardi, dico sempre una cosa: ci dobbiamo preoccupare nel momento in cui è necessario essere attrezzati ad affrontare un mondo più complicato rispetto a quello in cui vivevamo 15-20 anni fa».
Si spieghi meglio.
«Siamo passati da un minaccia terroristica che ha colpito duramente l’Europa provocando tragici lutti ma che adesso si può dire neutralizzata, a un mondo con rischi diversi che riguardano non tanto e non solo la nostra sicurezza fisica, bensì una minaccia multidimensionale: sabotaggi, cyber attacchi, fino all’instabilità, o piuttosto alla necessità di portare le spese militari al 5% del prodotto interno lordo».
In altre parole, il rischio non è più andare in aeroporto ed essere vittime di un attacco terroristico bensì quello di furti di dati oppure di bollette più salate?
«Dobbiamo cercare di vivere in sicurezza in un mondo complicato. In altre parole non siamo esposti a rischi diretti, bensì alle conseguenze dei conflitti in corso in Medioriente, Ucraina, oppure le tensioni nel Pacifico. Probabilmente rischiavamo di più con lo stato islamico, ma nel medio-lungo periodo siamo esposti a una serie di minacce che possono pregiudicare la richiesta di nostri bisogni».
Un esempio?
«È chiaro che nel caso in cui l’Iran chiudesse lo stretto di Hormuz l’Italia ne pagherebbe le conseguenze perché essendo un’economia di trasformazione l’approvvigionamento di materie prime arriva dall’esterno. Non è un segreto che uno dei nostri principale partner per il gas naturale sia il Qatar e le navi passano proprio attraverso Hormuz».
Con l’ingresso degli Stati Uniti in guerra che cosa cambia nello scacchiere internazionale?
«Cambia solo che gli iraniani si trovano ad affrontare direttamente Israele e Usa, mentre fino a ieri prima gli Stati Uniti erano una minaccia indiretta. Tutti sanno quanto l’America abbia finanziato Israele: dal 7 ottobre 2013 circa 25 miliardi di dollari in assistenza militare».
Qualche giorno fa lei ha detto che «L’ingresso americano al fianco di Israele darebbe la spallata definitiva al regime iraniano».
«Non so se darà la spallata decisiva al regime, ma sta infliggendo un danno rilevante alla struttura strategica militare. Che esista un movimento interno non ho gli strumenti per dirlo. Anche perché l’opposizione iraniana è poca cosa. Il vero rischio è contrario: che alla guida del Paese arrivino estremisti ancora maggiori dello ayatollah Khamenei».
Proprio la guida dell’Iran è l’obiettivo di Israele e Stati Uniti.
«Esatto. Ma bisognerà vedere se riusciranno a trovarlo. L’Iran non è il Libano, è un Paese molto più grande. Proprio la possibilità di tenere nascosto Khamenei è anche una delle ragioni che potrebbe portare l’Iran a continuare la guerra nonostante minori risorse».
Questa guerra, ufficialmente, nasce dopo la scoperta di una percentuale di uranio arricchito maggiore del consentito che ha dato la conferma del programma nucleare in Iran. Non le sembra quello che è successo per l’invasione dell’Iraq nel 2003?
«Sono due cose completamente diverse, allora l’Iraq non era più una minaccia, lì ci fu manipolazione. Qui la situazione è diversa: l’Iran ha davvero le capacità di un programma nucleare: l’uranio è arricchito al 60% nei pressi di una montagna dove si costruisce una base a centro metri di profondità. Si dice che a pensar male si faccia peccato, ma spesso ci si azzecca».
Possibile ipotizzare come sarà il mondo dopo la fine di questi conflitti?
«Difficile dirlo. Tutto ruota attorno alla prossima mossa dell’Iran: se attaccano le basi Usa la reazione sarà durissima».
Ultima cosa: non è che la chiave diventa Putin?
«Putin è un interlocutore importante e sa di esserlo. Ha rapporti con l’Iran, se la dice con Netanyahu e non vuole perdere la sponda di Trump per la questione ucraina».
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