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Il gaucho con la tonaca e il cuore tra la gente: simboli, frasi e sfide di Papa Francesco
La rivoluzione pop di Bergoglio che ha aperto la Chiesa a nuovi mondi: «Essere felici non è avere un cielo senza tempesta, ma trovare l’amore nella discordia»
Nelle ore del dolore restano le sue parole ad accarezzare le anime smarrite. In quelle dedicate alla ricerca della felicità ci sono i punti cardinali del pontificato di Francesco: speranza, umanità, amore, fede, resistenza. «Essere felici – diceva – non è avere un cielo senza tempesta, una strada senza incidenti, un lavoro senza fatica, relazioni senza delusioni. Essere felici significa trovare la forza nel perdono, la speranza nelle battaglie, la sicurezza nella fase della paura, l’amore nella discordia. È attraversare i deserti, ma essere in grado di trovare un’oasi nel profondo dell’anima. È ringraziare Dio ogni mattina per il miracolo della vita». Anche, e forse di più, quando arriva la morte terrena. Jorge Mario Bergoglio, il gaucho gesuita cresciuto tra football, musica e rivoluzioni prima di rispondere alla voce del Signore, era stato chiamato a Roma «dalla fine del mondo» per prendere per la mano la Chiesa e portarla in una dimensione nuova e popolare. Nel futuro. Il suo è stato un viaggio lungo dodici anni, dentro universi sconosciuti, contemporanei: i messaggi social, le interviste ai giornali, addirittura le apparizioni alle trasmissioni tv, da “Che Tempo che fa” fino all’ultimo Festival di Sanremo.
Ha camminato ostinatamente tra la folla con la croce al collo anche quando gli acciacchi e l’età lo hanno segnato. «Pregate per me», ripeteva quando il fiato mancava e percepiva che la clessidra della vita si stava esaurendo. Eppure ha continuato a scegliere strade mai battute prima, spesso anche scivolose, come le parole sull’omosessualità («Chi sono io per giudicare? » ) o la condanna alla pedofilia. Oppure pericolose, come la critica a guerre e capitalismo. Ma sempre guardando avanti tra sorrisi, abbracci, gioia, simbolismi. E soprattutto amore. Era il tono della voce a mutare, non il senso delle sue parole: padre affettuoso che prende in braccio i bambini che gli si fanno incontro e politico attento quando criticava le storture del nuovo mondo. «La Chiesa deve essere ospedale da campo, pronta ad accogliere chi soffre e non a giudicare», ripeteva.
Così è andato tra le gente. Poco importava se si trattava di cambiare le lenti a contatto in un negozio di via del Babuino, a due passi da piazza del Popolo all’ora di punta, pregare al fianco dei nativi canadesi con il copricapo dei Sioux, chiamare al telefono un ragazzo malato di tumore per dargli forza, partecipare alle celebrazioni della chiesa ortodossa, o lavare i piedi ai carcerati.
«Bisogna conoscersi – spiegava Bergoglio nell’intervista rilasciata al fondatore di Repubblica, Eugenio Scalfari – ascoltarsi e far crescere la conoscenza del mondo che ci circonda. A me capita che dopo un incontro ho voglia di farne un altro perché nascono nuove idee e si scoprono nuovi bisogni. Questo è importante: conoscersi, ascoltarsi, ampliare la cerchia dei pensieri. Il mondo è percorso da strade che riavvicinano e allontanano, ma l’importante è che portino verso il Bene».
Papa Francesco nel mondo ci si è tuffato senza paura del diverso, che fossero migranti, come la sua prima visita a Lampedusa, minoranze, malati, perseguitati. Pontefice degli per gli ultimi, nel nome del suo nome, Francesco. «Vorrei dire una cosa, a tutti voi giovani- spiegò in un incontro con le scuole gesuite nel 2013 – non lasciatevi rubare la speranza». In anni pieni di ombre il suo pontificato è stato un manifesto di quella speranza, un’alternativa al pensiero imperante. Per molti ha fatto opposizione alle ingiustizie del presente da solo: dalle critiche all’invasione dell’Ucraina, ai crimini nella striscia di Gaza.
Eppure era già tutto scritto. Il programma di Bergoglio era chiaro già prima che salisse il soglio Pontificio, il 13 marzo 2013, per guardare i fedeli acclamarlo in piazza San Pietro e salutarli dicendo semplicemente: «Buonasera». Spiegava nel libro intervista uscito tre anni prima della fumata bianca. «L’opzione fondamentale è scendere per le strade e cercare la gente: questa è la nostra missione. Il rischio che corriamo oggi è quella di una Chiesa autoreferenziale: simile al caso di molte persone che diventano paranoiche e autistiche, capaci di parlare solo a loro stesse».
Ma il suo pontificato è stato segnato da sfide complesse: la battaglia sugli abusi nella Chiesa, le tensioni interne al Vaticano, la convivenza con un altro Papa e i problemi globali: il cambiamento climatico e le migrazioni. Infatti non sono mancate le critiche: accusato di essere troppo progressista o, al contrario, di non fare abbastanza per riformare la Chiesa. «Se io considero il Vangelo unicamente in maniera sociologica, allora sì, è vero, sono comunista e lo è anche Gesù», replicava agli attacchi. Perché la sua missione è stata quella di aprire la Chiesa a nuovi fedeli, cercando di compiere il «proselitismo dell’amore». Per questo ha cercato di portare la Chiesa fuori dalle mura, nel mondo reale, nel quotidiano. Per la gente, tra la gente. Ed il primo ad uscire dagli schemi è stato proprio Bergoglio appena diventato Papa quando ha scelto di non risiedere nello storico appartamento papale al terzo piano del Palazzo Apostolico, ma di abitare in Casa Santa Marta, l’ “albergo” dove ha soggiornato durante il Conclave. Simbolo, un altro, di cattolicesimo nuovo, che opera una resistenza culturale. Ecco dunque l’amore come unica alternativa, cuore del suo testamento, contenuto nella quarta enciclica, pubblicata nell’ottobre scorso «Dilexit nos» («Ci ha amati»). Il Pontefice evidenzia che l’umanità può cambiare ripartendo «dal cuore», ma bisogna «far innamorare il mondo». Tra «guerre, squilibri e tecnologia» occorre «camminare insieme verso un pianeta giusto, solidale e fraterno».
Per esprimere «l’amore di Gesù si usa spesso il simbolo del cuore. Alcuni si domandano se esso abbia un significato tuttora valido. Ma quando siamo tentati di navigare in superficie, di vivere di corsa senza sapere alla fine perché, di diventare consumisti insaziabili e schiavi degli ingranaggi di un mercato a cui non interessa il senso della nostra esistenza, abbiamo bisogno di recuperare l’importanza del cuore». Quello che da oggi ci mancherà più di Francescol
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