Quella tenda mai arrivata e quindi mai installata nonostante i vari solleciti
Versata una caparra di mille euro: i consigli dell'avvocato Domenico Nicosia
Qualche mese fa ho firmato un contratto preliminare per l'acquisto di una tenda, versando una caparra confirmatoria di 1.000 euro al venditore. Avevamo stabilito che la consegna sarebbe avvenuta entro 30 giorni, ma nonostante i miei solleciti, il venditore non ha mai installato né consegnato la tenda e né dato spiegazioni. A questo punto, vorrei capire: posso recedere dal contratto e chiedere il doppio della caparra, oppure devo per forza fare causa per far valere i miei diritti? Qual è la strada più sicura e veloce per tutelarmi in questa situazione?
Marcello da Prato
La caparra confirmatoria è uno strumento di garanzia contrattuale utilizzato al fine di assicurare il rispetto degli impegni presi al momento della stipula di un contratto. Come si legge all’art. 1385 c.c., si tratta di una somma di denaro (o quantità di cose fungibili) che una parte consegna all’altra, contestualmente alla stipula di un contratto, per garantire l’esecuzione delle obbligazioni assunte con quest’ultimo. In particolare, il comma 2, seconda parte dell’art. 1385 c.c., stabilisce che, in caso di inadempimento, la parte adempiente ha diritto di recedere dal contratto ed esigere il doppio della caparra. In alternativa, ai sensi del comma 3, la stessa parte può domandare l’esecuzione o la risoluzione del contratto, applicandosi in tal caso le norme generali sul risarcimento del danno. La caparra ha dunque una duplice funzione: in primo luogo permettere alla parte non inadempiente di recedere dal contratto senza bisogno di rivolgersi a un giudice; in seconda istanza ha la funzione di “preventiva e forfettaria liquidazione del danno” (Cass. n. 6463/2008), danno che si sostanzia nel recesso cui è stata costretta la parte a seguito dell’inadempimento della controparte. La base giuridica della risoluzione del contratto per inadempimento è sancita all’art. 1453 c.c., il cui primo comma cita: “nei contratti con prestazioni corrispettive, quando uno dei due contraenti non adempie le sue obbligazioni, l’altro può a sua scelta chiedere l’adempimento o la risoluzione del contratto, salvo in ogni caso il risarcimento del danno”. La scelta sul rimedio da esperire spetta al creditore della prestazione il quale dovrà decidere in base agli elementi di prova che ha a disposizione. Qualora optasse per la risoluzione per inadempimento o per l’esecuzione, dovrà promuovere una domanda giudiziale che accerti l’inadempimento e che condanni parte debitrice. In questo caso l’onere della prova ricadrebbe sul creditore secondo il principio per cui “chi vuole far valere un diritto in giudizio deve provare i fatti che ne costituiscono il fondamento” (art. 2697 c.c.). La prova, tuttavia, potrebbe limitarsi alla produzione del titolo in base al quale si agisce (il contratto di compravendita) e alla mera contestazione dell’inadempimento subìto. Insieme all’inadempimento occorrerà provare anche l’entità economica del danno (Cassazione Civ. Sez. II, ordinanza n. 20532/2020). Il debitore, invece, dovrà provare di aver adempiuto correttamente oppure l’esistenza di fatti modificativi, impeditivi o estintivi.
All’esito del processo, il giudice potrà liquidare la somma che riterrà opportuna o non riconoscere l’inadempimento. Al contrario, se si decidesse di recedere utilizzando l’istituto di cui all’art. 1385 c.c., il creditore potrebbe contare sulla sicurezza della caparra confirmatoria e in questo caso decidere di avviare un ricorso per ingiunzione di pagamento ex art. 633 c.p.c. innanzi al Giudice di Pace o al Tribunale, in base al valore della causa.
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