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L’intervista

Più tumori tra gli under 40 ma s’impennano le guarigioni. A Pisa un centro clinico d’eccellenza

di Cristiano Marcacci

	Piero Lippolis
Piero Lippolis

Al Centro clinico del peritoneo di Pisa certe patologie sono ora operabili. Il direttore Piero Lippolis: «La svolta nel miglioramento di diagnosi e tecnologie»

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PISA. Incarna una delle eccellenze di cui si può vantare la sanità toscana e, in particolare, l’ospedale di Cisanello a Pisa. È il dottor Piero Lippolis, specialista di prim’ordine, esperto nella chirurgia oncologica avanzata e, soprattutto, in quella riguardante le carcinosi peritoneali. «Professionalmente – ce lo spiega direttamente lui – sono nato come chirurgo d’urgenza. Ho lavorato nella chirurgia generale fino al 2016, poi sono passato alla chirurgia generale oncologica, nel cui ambito mi sono poi specializzato ulteriormente nei tumori addominali, in particolare gastroenterici e, secondo la recente mission dell’Azienda ospedaliero-universitaria pisana, nelle malattie del peritoneo (area in cui, nella maggior parte dei casi, si concentrano le metastasi). A Pisa, in effetti, questa branca mancava, tanto che fino a qualche anno fa era consistente la migrazione dei pazienti verso nord».

Dottor Lippolis, grazie ai vostri studi e alla vostra opera di affinamento dell’attività chirurgica il peritoneo non è più una barriera invalicabile per i chirurghi. Oggi quando e come vi si può intervenire?

«Fino a 10-15 anni fa le metastasi al peritoneo erano esclusivamente ad appannaggio degli oncologi, in sostanza il chirurgo non ci poteva fare nulla. Da qui il progetto di costituire un gruppo di lavoro per la chirurgia del peritoneo. Nel 2021 è nato l’apposito Centro clinico, basato su modelli organizzativi che vedono protagoniste più discipline e che abbracciano l’intero percorso di un paziente, dalle varie programmazioni diagnostiche fino alla cura. Oggi, finalmente, il peritoneo (la membrana sierosa che riveste gli organi dell’addome e la parete addominale, ndr) è considerato a sua volta un organo che può essere rimosso. Ci sono ormai tecniche messe bene a punto che ne consentono appunto la rimozione, magari accompagnata a chemioterapia localizzata da eseguire in sede di intervento chirurgico. Prima questi pazienti erano considerati terminali, venivano affidati esclusivamente all’oncologo, con una prognosi di vita tra i sei e i dodici mesi. Io, ad oggi, continuo a seguire pazienti operati ormai quasi dieci anni fa».

Preoccupano meno anche le metastasi?

«Si può intervenire anche nei casi in cui ci siano metastasi provenienti da altri organi, come ad esempio il tumore tubo-ovarico. Anche in queste situazioni prima non si operava. Oggi, invece, dopo 3-4 cicli di chemioterapia neo adiuvante, è possibile procedere con la chirurgia citoriduttiva (procedura mirata principalmente al trattamento del cancro ovarico, che si concentra sulla rimozione della maggior quantità possibile di massa tumorale per migliorare i tassi di sopravvivenza e potenziare l'efficacia delle terapie successive, ndr) associata alla chemio ipertermia intraperitoneale, che consiste nella somministrazione di farmaci chemioterapici direttamente nell’addome. Dopo è sufficiente una terapia di mantenimento, con un’aspettativa di vita decisamente migliorata e un allungamento consistente dei tempi di presentazione di un’eventuale recidiva».

A quali livelli è arrivato il centro clinico dell’Aoup?

«Abbiamo raggiunto uno tra i volumi d’attività più alti d’Italia, eseguiamo una o due procedure alla settimana. Secondo l’Ars (l’Agenzia regionale di sanità della Toscana, ndr), all’anno ci sono nella nostra regione 2.000 nuovi casi di carcinosi. Tra il 15 e il 20% di questi il trattamento avviene tra gli ospedali di Pisa, Careggi a Firenze e Siena. Circa il 50% dei circa 200 nuovi casi lo trattiamo noi a Cisanello. Inoltre, numerosi interventi chirurgici li eseguiamo su pazienti provenienti da fuori regione, non solo dal sud ma anche dal nord».

Con quali modalità viene seguito il paziente?

«Il nostro Centro clinico si basa sulla collaborazione e la sinergia tra chirurghi, oncologi, radiologi, ginecologi, endoscopisti, urologi, nutrizionisti (dopo gli interventi i malati sono infatti abbastanza debilitati), specialisti in riabilitazione, psicologi e, ovviamente, anestesisti-rianimatori. In questo ambito si pensa a tutto: dalla diagnosi al trattamento che tiene conto del tipo di paziente e del tipo di patologia, fino al cosiddetto “follow-up” (i controlli oncologici da effettuarsi nel tempo)».

Ci sono state determinate svolte tecnologiche alla base della cura chirurgica della patologia tumorale al peritoneo?

«La svolta è stata determinata dalle maggiori conoscenza ed esperienza e, confermo, dal supporto di una più elevata tecnologia a disposizione, sia in termini di diagnosi che di dispositivi medici che facilitano l’azione chirurgica. Mi vengono in mente, ad esempio, certi “dissettori”, in grado di separare e coagulare attraverso l’uso di onde elettromagnetiche oppure ultrasuoni, e alcune suturatrici elettromeccaniche. In alcuni casi, quando la patologia oncologica non è particolarmente diffusa, è anche possibile utilizzare il robot Da Vinci, così da ridurre al minimo indispensabile le conseguenze di un intervento che generalmente è molto invasivo».

Anche in questo ambito la diagnosi precoce, per fortuna, è migliorata e vengono individuati molti più tumori che in passato. Quindi, la domanda è cresciuta. La lista d’attesa è sotto controllo?

«Intanto, sto facendo crescere un po’ di giovani in grado di operare di più, anche se in questo ambito 5-6 anni di formazione ci vogliono tutti. La lista d’attesa c’è, ma per i tumori si tratta di una lista tempo-dipendente, nel senso che è calibrata rispetto ai cicli di chemioterapia. Ad oggi abbiamo una programmazione fino a tutto aprile».

Anche a livello gastroenterico ci si ammala di tumore in età più giovane rispetto a qualche decina d’anni fa?

«Sì. La malattia si presenta in modo più precoce rispetto al passato, tra i 35 e i 40 anni. A causa principalmente di tutto ciò che la vita ci “offre”: l’aria che respiriamo, il cibo che mangiamo, il poco movimento. Per quanto riguarda la prevenzione, un’attenzione particolare deve fatto

essere riservata alla familiarità di certe patologie. Inoltre, il sangue occulto nelle feci o nelle urine non va assolutamente sottovalutato, dopo 30 anni è bene sottoporsi alle visite senologiche e ai pap-test, serve ridurre se possibile al minimo indispensabile il consumo di carne, è importante la vaccinazione contro il papilloma virus ed è fondamentale controllare il ritmo del nostro orologio intestinale».

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