Il Tirreno

Toscana

Il racconto

Io, celiaca, dico a tutti: «Non siamo diversi»

di Benedetta Cirri *

	(foto di repertorio)
(foto di repertorio)

Benedetta parla della sua convivenza con questa patologia: «Sentirci accettati non è un favore, ma è prima di tutto un diritto»

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Mi chiamo Benedetta e sono celiaca. La celiachia è una malattia autoimmune che non permette a chi ne è affetto di ingerire cibi contenenti glutine. Eh sì, la celiachia fa parte di me. Non me ne vergogno, anzi, mi ha resa più consapevole. Mi è stata diagnosticata a tre anni e crescere con questa condizione non è sempre stato semplice.

I miei genitori mi hanno sempre tenuta al corrente della mia patologia. Fin da subito hanno cercato di farmi capire cosa significasse convivere con la celiachia, senza però farmela pesare. Mi hanno permesso di vivere un’infanzia serena crescendo con tranquillità. Hanno avvisato subito la scuola materna, che si è attrezzata senza problemi per gestire la situazione.

Eppure, ancora oggi, ci sono bambini che vengono trattati diversamente solo perché celiaci. Proprio all’inizio di quest’anno, in una scuola, due bambine sono state messe a un tavolo separato dagli altri, ufficialmente per garantire maggiore sicurezza. Ma isolare un bambino non è la soluzione. Non si tutela la sua salute escludendolo, facendogli pesare una condizione che già di per sé comporta tante difficoltà.

La celiachia non è una scelta e chi ne soffre non dovrebbe mai sentirsi "diverso". C’è ancora tanta disinformazione su questa malattia, e questo genera frustrazione in chi la vive ogni giorno.

La prima cosa che voglio chiarire è che non esistono gradi di celiachia: o si è celiaci, o non lo si è. Ci possono essere sintomi più o meno evidenti da persona a persona, ma il danno che si verifica all’interno dell’intestino è sempre lo stesso. Anche chi non manifesta sintomi evidenti subisce comunque lo stesso tipo di lesione a livello intestinale, ed è per questo che la dieta senza glutine deve essere seguita con il massimo rigore, senza eccezioni.

L’adolescenza è probabilmente la fase più delicata. È un’età in cui si ha bisogno di sentirsi accettati, di far parte di un gruppo, di condividere esperienze. E invece, capita di sentirsi in difficoltà a causa di una semplice scelta alimentare obbligata. Non sempre i compagni comprendono cosa significhi essere celiaco, e talvolta possono nascere commenti che feriscono.

In questi momenti è fondamentale trovare la forza di spiegare che la celiachia non è una scelta e che rispettarla significa rispettare la persona che ne è affetta.

Poi ci sono i compleanni, quei momenti che dovrebbero essere di festa ma che per un celiaco possono diventare motivo di esclusione. A volte si viene invitati, ma senza che nessuno si preoccupi di avere qualcosa di adatto: niente pizzette, niente torta. E allora viene spontaneo chiedersi: «Se non consideri la mia celiachia, stai davvero considerando me?». E così, si rischia di perdere amicizie. Amicizie che forse non erano poi così autentiche, perché chi tiene davvero a te trova il modo di farti sentire incluso.

Ancora più difficile è quando qualcuno dice: «Non ti ho invitato perché sei celiaco». Una frase che può sembrare giustificabile, ma che in realtà fa male, soprattutto quando si è più giovani. Tuttavia, esperienze come queste aiutano anche a capire chi ci sta davvero vicino e chi invece non ha rispetto per la nostra realtà.

La verità è che basterebbe così poco: una semplice torta senza glutine, qualche pizzetta presa in un panificio adatto. Piccoli gesti che fanno sentire una persona accettata e parte del gruppo.

Ma non voglio soffermarmi solo sugli aspetti negativi, perché la celiachia mi ha insegnato anche a riconoscere le persone che tengono davvero a me.

Ci sono amici, familiari e perfino sconosciuti che fanno di tutto per farmi sentire inclusa. Quando qualcuno si impegna a trovare un ristorante senza glutine, quando organizza una vacanza scegliendo posti adatti, quando un cameriere o un barista sa esattamente come gestire la mia richiesta, capisco che la mia condizione non è solo un limite, ma anche un modo per vedere il lato migliore delle persone.

E poi ci sono le sorprese più belle: entrare per caso in una gelateria e scoprire che è completamente senza glutine, trovare un ristorante che non solo ha opzioni adatte, ma è interamente dedicato a questa esigenza. Sono dettagli che chi non ha questa necessità potrebbe non notare, ma per me - e per tanti altri - fanno la differenza. Sono segnali che, poco alla volta, la società sta cambiando e che l’inclusione è possibile. La scuola, i ristoranti, le persone intorno a noi devono capire che l’inclusione non è un favore, ma un diritto. Io sono stata fortunata a crescere in un ambiente che mi ha sempre supportata, ma so che per molti non è così. Ecco perché racconto la mia storia: perché nessuno si senta escluso e perché tutti meritiamo di non essere discriminati per una condizione che non abbiamo scelto.

*Studentessa di 18 anni istituto Da Vinci di Prato

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