Il Tirreno

Toscana

Il focus

Oltre seimila imprese toscane a rischio di infiltrazioni criminali: i dati, i settori e la spiegazione del docente

di Lorenzo Carducci

	A destra il docente universitario Alberto Vannucci che ha analizzato il fenomeno
A destra il docente universitario Alberto Vannucci che ha analizzato il fenomeno

La Cgia di Mestre: boom di denunce per estorsione, raddoppiate dal 2013

4 MINUTI DI LETTURA





Mentre l’economia pulita soffre in molti settori, quella illecita prospera e continua ad infiltrarsi nel tessuto produttivo del Paese. Secondo il rapporto dell’ufficio studi della Cgia Associazione Artigiani e Piccole Imprese di Mestre, pubblicato ieri e riferito al 2023, il volume d’affari delle mafie italiane si aggirerebbe attorno ai 40 miliardi di euro l’anno, praticamente due punti del Pil nazionale. Tra narcotraffico, smaltimento illegale di rifiuti, appalti pubblici, gioco d’azzardo, usura, prostituzione e così via, l’industria del crimine vanterebbe ipoteticamente il quarto fatturato. Elaborando i dati dell’Unità di informazione finanziaria della Banca d’Italia, la Cgia conta circa 150mila imprese che potrebbero essere potenzialmente controllate da organizzazioni criminali di stampo mafioso o essere ad esse collegate a vario titolo.

I dati toscani

Di quelle 150mila, 6.044 (circa il 4% del totale) sono in Toscana. Con le sue quasi 1500 imprese potenzialmente nell'orbita della malavita, la provincia di Firenze si trova al 21° posto in una classifica che vede le prime posizioni occupate dalle aree metropolitane di Napoli, Roma e Milano. Al 43° posto, con 811 imprese in zona “grigia”, c’è Prato, la provincia toscana con la percentuale più alta rispetto al totale di quelle presenti sul territorio (3-4%), mentre in tutte le altre la quota si attesta sull’1-2%. Un altro indizio che non rincuora è il boom delle denunce per estorsione negli ultimi dieci anni: la Toscana è la sesta regione per aumento percentuale di estorsioni denunciate dal 2013 al 2023 (da 372 a 751), con un incremento del 101,9% rispetto alla media nazionale del +66%. A livello provinciale il record lo detiene Livorno con un aumento del 250%, il sesto più alto d’Italia.

Terreno fertile

«Le stime sull’impatto economico delle mafie sono difficili da calcolare a livello metodologico, trattandosi di attività che per loro natura vivono nell’ombra – premette il professor Alberto Vannucci, ordinario di scienza politica all’Università di Pisa e direttore del principale master accademico in Italia su mafia e corruzione, attivo da 15 anni – ma tutti gli studi concordano sul fatto che la criminalità organizzata abbia un grosso peso nel nostro Paese. In Toscana, dove a differenza di altre realtà non ci sono evidenze su insediamenti autoctoni o cellule organizzative, le mafie (in primis camorra e ’ndrangheta, con una componente non irrilevante dalla Sicilia) vengono a fare affari. Basta citare la vicenda Keu: soggetti di riconoscibile contiguità o di appartenenza mafiosa entrano in circuiti locali e giocano un ruolo di facilitazione nell’incrocio tra corruzione politica, sversamento dei rifiuti tossici e altri settori».

«Come emerge da varie inchieste giudiziarie – prosegue il docente – la mafia non arriva per imporre le proprie regole ma si immette in circuiti di criminalità presenti sul nostro territorio e spesso lambisce attività formalmente legali. Per appalti, operazioni e speculazioni immobiliari e altre attività che attraggono investimenti e interessi di riciclaggio di capitali mafiosi, la Toscana è terreno fertile».

Livorno e Prato

Le organizzazioni criminali, spiega Vannucci, si muovono a geometria (e geografia) variabile, vale a dire che «per certi filoni di affari illegali si collegano ad altre reti criminali toscane, o comunque stabilmente presenti sul nostro territorio». Due esempi sono quelli di Livorno e Prato. «Il porto di Livorno, che, come tutti i porti, è una zona vulnerabile, è oggetto di alcune attività investigative significative sul narcotraffico, con sequestri di ingenti quantità di cocaina. Prato, invece, è da alcuni anni tra le prime province per numero di segnalazioni relative a condotte di riciclaggio». La costante, ovunque, è il metodo mafioso, «che si avvale di intimidazioni possibilmente senza fare uso di violenza, la strategia è lavorare sottotraccia e creare meno allarme possibile».

Sì, anche qui

Il quadro che emerge dagli analisti è che il retaggio di una Toscana e di un Centro Italia più immuni di altre zone alla criminalità organizzata non ha più diritto di cittadinanza. «Per lungo tempo si è pensato che alcune aree in Italia avessero anticorpi più robusti contro la presenza mafiosa – conclude il professor Vannucci – poi è arrivata l’inchiesta giudiziaria Aemilia che ha dimostrato che anche un certo tipo di società civile è più permeabile di quanto si pensasse. La mia impressione è che a dispetto di un’elevata sensibilità nella cittadinanza, quando si entra nella dimensione degli affari, certi colletti bianchi tendano a privilegiare o includere interlocutori mafiosi in nome del dio profitto».

RIPRODUZIONE RISERVATA

Primo piano
La tragedia

Aulla, schianto in autostrada: muore un 44enne

Sportello legale