Il Tirreno

Toscana

L'intervento

Cecchetin e Valditara, quanta distanza tra voi

di Enzo Brogi (*)

	Da sx Gino Cecchettin e il ministro Giuseppe Valditara
Da sx Gino Cecchettin e il ministro Giuseppe Valditara

Il problema non è l’immigrazione di popolo, ma l’emigrazione dei valori culturali

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Alla Camera dei Deputati è stata presentata la Fondazione Giulia Cecchettin. Ancora una volta le parole di papà Gino sono state intense, emozionanti. La sua invocazione all’impegno di tutti, l'esortazione a comprendere che la Fondazione ha «il compito di educare per produrre un cambiamento. La violenza di genere è frutto di un fallimento collettivo: non è solo una questione privata. Dobbiamo educare le nuove generazioni».

Cecchettin ha ribadito la necessità di sviluppare un impegno condiviso, senza distinzione di ideologie. «Non possiamo permetterci di essere indifferenti o voltare lo sguardo altrove», ha detto, sottolineando l'importanza dell'educazione, a non disinteressarsi per prevenire altre tragedie. Un invito pacato, dolce e rivolto ad ascoltare le voci di chi subisce violenza, affinché le loro disperate richieste di aiuto possano essere accolte e non portino altre vittime. Con un video preregistrato non ha fatto mancare la propria voce anche il ministro Giuseppe Valditara, che con un commiserevole intervento ha attribuito un ruolo all'immigrazione irregolare nel fenomeno della violenza sessuale, sostenendo che «forme di marginalità e devianza» derivanti dai fenomeni migratori contribuiscano all’aumento di tali crimini. Sconcerto nell’aula per le sue parole che risultano fortemente dissonanti nel contesto di un evento dedicato a Giulia Cecchettin, vittima di femminicidio ad opera di un ragazzo italiano. Non soddisfatto ha definito la battaglia contro il patriarcato come un approccio «ideologico» e non risolutivo, affermando che il patriarcato come fenomeno giuridico sia superato con la riforma del diritto di famiglia. Secondo Valditara, il problema sarebbe invece legato a residui di maschilismo e machismo, sottolineando che la lotta alla violenza di genere dovrebbe essere «concreta e ispirata ai valori costituzionali».

Quanta distanza fra le parole. Un totale contrasto di toni e intenti di due uomini che a titolo diverso avrebbero il compito di indicare un percorso di riflessione e condanna del terribile dramma del femminicidio per ciò che ha fatto Filippo Turetta e che tanti, tanti altri Turetta, continuano a fare giorno dopo giorno. Parole profondamente sbagliate, oltre che gravi e che hanno provocato una valanga di polemiche e condanne dei movimenti femministi e delle opposizioni. Anche Elena, sorella di Giulia accusa il ministro di preferire la propaganda all’ascolto. «È stato un anno difficile, di dolore, di ricordi, di lacrime. Ma soprattutto di lotta. Lotta per lei, che non c’è più e per tentare di impedire che nessun’altra debba ricevere quella chiamata, per questo è nata la Fondazione». Un passo importante per promuovere l’educazione all’affettività e sensibilizzare le nuove generazioni. Un messaggio di resilienza che si oppone alla retorica divisiva, ricordando che il cambiamento non può prescindere dalla capacità di ascoltare e collaborare. Spesso ci sono relazioni tossiche che le persone non sono in grado di riconoscere. Educare all'affettività, alla gestione dei conflitti e alla valorizzazione della diversità di genere è l'unica strada possibile. Il problema non è l'immigrazione di popolo, signor ministro, ma l'emigrazione di importanti valori culturali.

*scrittore e attivista per i diritti
 

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