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Beni Arshiaj ucciso nell’agguato a Pisa, gli studi in Germania poi la nuova vita in Toscana: «Era un grande lavoratore» – Video


	Le forze dell'ordine sul luogo dell'omicidio (foto Muzzi) e la vittima 
Le forze dell'ordine sul luogo dell'omicidio (foto Muzzi) e la vittima 

L’uomo, freddato da un killer davanti alla sua abitazione a Oratoio in cui viveva con la moglie e i due figli, faceva il muratore e il piastrellista: «Una persona tranquilla, non aveva conflitti con nessuno»

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PISA. «Non lo conoscevo, ma lo vedevo come si dava da fare. Era sempre a lavorare». Un vicino di casa di Beni Arshiaj, il 37enne freddato da un killer nella corte di casa sua a Oratoio, parla proprio di fronte all’ingresso dell’abitazione dove l’albanese viveva con la moglie Ina e i due figli piccoli. Muratore e piastrellista come principale attività a cui aggiungeva anche qualche lavoretto da giardiniere.

Originario della zona settentrionale dell’Albania, Arshiaj aveva vissuto in Germania dove aveva portato a termine le scuole superiori. E dove si era innamorato di quella che sarebbe poi diventata sua moglie, con la quale avrebbe poi deciso di trasferirsi in Italia. Tappe della loro vita insieme cadenzata dalla presenza di parenti e amici già insediati da tempo e in grado di fornire loro quella rete di aiuti materiali che diventano fondamentali quando si decide di cambiare Paese.

Ma quello che è successo domenica sera getta una serie di interrogativi. Il fratello della moglie, Dorian, che abita in Germania, parla del cognato come di una persona per bene: «Sta insieme a mia sorella da dieci anni, che io sappia non aveva problemi con la giustizia. E se mi chiedete quale idea mi sia fatto sulla sua morte, non posso fare altro che rivolgermi a Dio. Solo lui sa il motivo di questa tragedia».


Lo zio della vittima, Vladimir Arshiaj, spiega che la famiglia di Beni, in Albania, è composta da «padre, madre e due fratelli». Mentre descrive il nipote come uno che «lavorava sempre. Per me era una brava persona, tranquilla, non aveva conflitti con nessuno. Per questo non possiamo dire nulla su cosa è successo. Io abito a L’Aquila. Ci hanno avvisati dall’Albania e sono partito subito. Chi ci ha chiamato, sapeva che era successa una sparatoria vicino a casa, ma non era a conoscenza se mio nipote fosse morto o meno».

Il lavoro al centro della vita di Beni Arshiaj, almeno stando alle testimonianze e ricostruzioni di chi lo conosceva o di chi lo vedeva uscire ogni giorno col furgone. Anche nel pomeriggio prima della sua uccisione, il 37enne era a darsi da fare a casa di un cugino. Probabilmente lavoretti di muratura per dare una mano alla famiglia, nonostante fosse domenica. Poi il viaggio di ritorno verso la casa di Oratoio per la cena con la moglie e i suoi due figli piccoli. Due chiacchiere, qualche risata prima di metterli a dormire e prepararsi a sua volta per andare al letto. E ricominciare il giorno dopo con la solita routine, fatta di fatica per guadagnarsi lo stipendio e far andare avanti la famiglia.

«Lo conoscevo bene – ricorda l’amico Florat Vershaj che abita nel Pisano –. Siamo cresciuti insieme diventando uomini. Poi le nostre strade si sono divise per un po’ di anni e si sono ritrovate qui. L’ultima volta l’ho visto a Tirrenia poche settimane fa. Stava bene. Dava l’impressione di non avere problemi con nessuno».

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