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L'intervento

Elezioni, siamo civilmente obbligati a votare

di Emanuele Rossi
Elezioni, siamo civilmente obbligati a votare

Disertare le urne è solo un gesto di protesta, privo di qualsiasi valore giuridico

08 giugno 2024
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È possibile che un diritto costituisca anche un dovere? Se io ho il diritto di compiere o meno una certa azione, come è possibile che quella stessa azione mi sia imposta? Nella nostra concezione culturale, siamo abituati a pensare i diritti e i doveri come due condizioni opposte: o c’è l’una o c’è l’altra. Come il caldo e il freddo, il dolce e il salato, la luce e il buio. Eppure per il voto, o almeno per come la nostra Costituzione concepisce il voto, non è così. Il voto è un diritto, in primo luogo, garantito a tutti coloro che sono cittadini.

La Costituzione non specifica per quale tipo di elezione: in base alla situazione attuale i cittadini eleggono direttamente i propri rappresentanti nel Comune, nella Regione, nel Parlamento nazionale e nel Parlamento europeo. Alle elezioni vanno poi aggiunti i referendum, delle varie tipologie previste dalla Costituzione.

Dunque, per ognuna di queste votazioni i cittadini italiani hanno diritto di votare: e ciò garantisce a queste istituzioni la loro legittimazione democratica. Se la sovranità appartiene al popolo, è il popolo che - mediante il voto - ne attribuisce l’esercizio a qualcuno. Ovviamente la sovranità può esprimersi anche attraverso la rinuncia a farla valere: chi non vota compie un gesto “significante solo sul piano socio-politico”, come affermato dalla Corte costituzionale, cioè un gesto di protesta o di testimonianza, ma privo di valore giuridico. Sono coloro che vanno a votare che decidono, anche per coloro che se ne stanno a casa (per scelta o per impossibilità).

Come ha scritto recentemente la sociologa Rossana Sampugnaro, in un libro appena uscito e curato da alcuni ricercatori della Scuola Superiore Sant’Anna guidati da Giuseppe Martinico, da qualche tempo stiamo assistendo a una ridefinizione del profilo di quanti, per scelta (e quindi non per necessità, ovvero per cause di malattia o indisponibilità varie) non vanno a votare: se prima ciò riguardava soggetti rinunciatari e marginali, magari di istruzione e condizione sociale modeste, oggi, nell’epoca della post-democrazia, “il non-voto si configura non più come il segnale di un’estraneazione dalla vita della comunità organizzata ma come una possibile variante della partecipazione stessa e come scelta consapevole”.

Si decide di non votare, dunque, perché si vuole farlo consapevolmente, magari per esprimere un senso di protesta o di ribellione alle istituzioni rappresentative: anche tra giovani e soggetti dotati di un’istruzione medio-alta e di un reddito elevato. È la dimensione del diritto di voto, che comporta anche il diritto di rinunciarvi: infatti, come ogni diritto, anche quello di voto ha in sé una dimensione positiva e una negativa.

Ma tale modo di esercitare il proprio diritto deve comunque tenere conto di due fattori. Il primo: che rinunciando ad esprimersi si pregiudica la qualità della democrazia. Non solo perché si fa perdere alle istituzioni rappresentative una parte di legittimazione politica (non giuridica, come detto: perché comunque quella la mantengono, indipendentemente da quanti vanno a votare): e questo non è un bene. E pertanto non andare a votare produce un effetto non soltanto su se stessi, ma sull’organizzazione cui quel voto si riferisce. Qui sta il secondo punto: come si è detto, per la Costituzione il voto è anche un dovere.

Un dovere civico, come specifica l’articolo 48: un aggettivo che fu scelto perché si voleva indicare che non costituisce né un dovere giuridico (che avrebbe obbligato a sanzionare i non votanti) ma nemmeno un obbligo puramente morale: il nostro costituente era consapevole che, appena usciti da un regime di vent’anni che aveva impedito di votare, fosse troppo importante far comprendere a tutti che la democrazia richiede almeno una volta ogni tanto l’impegno di sentirsi responsabili della vita collettiva. Dunque, siamo liberi di non votare, ma siamo anche civilmente obbligati, proprio in quanto cittadini, a votare. Non è una contraddizione, bensì una delle tante espressioni in cui l’esercizio di un nostro diritto si deve bilanciare con la nostra responsabilità di essere cittadini: come per il diritto/dovere di lavorare, di istruirsi, di curarsi.

Se ciascuno di noi vivesse in uno spazio inabitato come individuo isolato e senza bisogno degli altri potrebbe anche ipotizzare di pensare solo a se stesso: ma siccome viviamo in un contesto sociale da cui attingiamo risorse necessarie per la nostra vita e per la nostra qualità di vita, abbiamo anche il dovere di dare il nostro apporto alla vita comune. E il voto è parte di ciò: una parte non secondaria e nemmeno marginale. Perché chi eleggiamo, ad ogni livello, può assumere decisioni che riguardano il nostro presente e il nostro futuro.


*professore ordinario di Diritto costituzionale alla Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa

 

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