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Quei “bamboccioni” toscani: quasi il 65% in casa fino a 34 anni

di Francesco Paletti
Quei “bamboccioni” toscani: quasi il 65% in casa fino a 34 anni<br type="_moz" />

Si dice sia «per cause di forza maggiore» ma poi si scopre che il 70,7% ha un lavoro

23 dicembre 2023
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Quasi due su tre vivono ancora con babbo e mamma o, comunque, con uno dei due genitori. È del 64,9%, infatti, la quota di giovani toscani single fra i 18 e i 34 anni che continuano ad abitare nella famiglia d'origine. L’incidenza è altissima, per quanto inferiore alla media nazionale (67,6%).

Ma a preoccupare è anche, e soprattutto, la tendenza: nel 2016, infatti, erano il 58,3%. In cinque anni, fra il 2016 e il 2021, dunque, l’incremento è stato di quasi sette punti percentuali. Emerge anche questo da “I giovani toscani: un’analisi su chi sono e cosa chiedono futuro”, realizzata nell’ambito di “GiovaniSì”, il progetto della Regione per promuovere l’autonomia delle nuove generazioni. Eppure guai chiamarli “mammoni”. Quanto meno raramente per scelta. Molto più spesso “per causa di forza maggiore”.

Perché quella percentuale, e più in generale la fatica a recidere il cordone ombelicale con i genitori, è soprattutto l’esito e la conseguenza di una serie di concause che costringono i giovani toscani a vivere nell’abitazione di famiglia spesso anche oltre i trent’anni.

A cominciare dal lavoro. In primo luogo quello che non c’è. O quanto meno che non riescono a trovare: fra i 15 e i 24 anni, infatti, il tasso di disoccupazione regionale è del 26,2%, pure in questo caso leggermente inferiore alla media nazionale 29,7%. Ma è il risultato di andamenti piuttosto differenziati. In primo luogo per genere perché in quella fascia d’età è senza lavoro circa un terzo (32,3%) delle ragazze contro poco più di un quinto dei ragazzi (22%) .

Ma sono marcate anche le differenze territoriali: in provincia di Lucca, ad esempio, la disoccupazione giovanile arriva addirittura al 39,7%, in quella di Massa Carrara al 32,9% e a Pistoia al 31,3%. Va un po’ meglio nella classe d’età anagraficamente superiore, quella compresa fra i 25 e i 34 anni: qui il tasso di disoccupazione regionale è del 9% (contro il 14% nazionale) ma lo svantaggio femminile rimane vistoso dato che è senza lavoro il 12% delle donne contro il 7% degli uomini.

Non va troppo meglio anche quando si guarda ai giovani che lavorano. Lo studio curato da Alessandro Rosina, Francesca Tosi, Elena Marta, Adriano Mauro Ellena e dall’Osservatorio Giovani dell’Istituto “Giuseppe Toniolo” (con la collaborazione di Ipsos), infatti, ha anche intervistato un campione rappresentativo di ottocento giovani toscani fra i 18 e i 40 anni. Risultato: dei 514 che hanno un’occupazione, il 70,7% ha un contratto da dipendente, il 66,2% dei quali con un contratto a tempo indeterminato, incidenza però che sale al 74,2% per gli uomini e scende al 58,8% per le donne. Il restante 33,8%, invece, è precario e di essi il 23,9% è inquadrato a tempo determinato, incidenza che cala al 17,9% per i ragazzi e sale al 29,5% per le ragazze. Così accade che sempre più spesso i giovani toscani e italiani posticipano le scelte che, tradizionalmente, segnano il passaggio alla vita adulta: non solo la separazione dalla casa di famiglia, ma anche la decisione di diventare genitori. Dal 2000 al 2020, infatti, l’età media al parto delle donne toscane è passata da 31 a 32,8 anni e quella dei padri al primo figlio da 34,5 a 35,8 anni. Conseguentemente si fanno sempre meno figli: fra il 2008 e il 2020 in Italia il tasso di fecondità totale è diminuito del 13,9%, in Toscana del 17,9%. Così accade che i giovani, non solo faticano a staccarsi dalla famiglia, ma sono anche sempre di meno: gli under 14 che vivono sul territorio regionale sono appena l’11,8% della popolazione complessiva, un punto percentuale in meno rispetto al media nazionale 12,7%. In uno scenario di questo tipo s’innestano anche significativi cambiamenti culturali. Come il «progressivo indebolimento dell’attaccamento al valore simbolico del matrimonio tradizionale» sottolineato i ricercatori. Numeri alla mano, una constatazione incontrovertibile: nel 2020 le celebrazioni con rito civile sono state pari all’80,7% del totale. Praticamente quattro su cinque. Nel 2004, ossia sedici anni prima, l’incidenza si fermava al 44,1 e ancora nel 2018 non andava oltre il 66,7%.
 

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