Io, lo spot Esselunga e la struggente commozione del padre separato
Quello che fa male è dar voce alle speranze mutilate dei figli
Sta facendo molto discutere la pubblicità della Esselunga intitolata "La pesca". Perché qualcuno sostiene che questa pubblicità così intensa e struggente alluda troppo alla famiglia tradizionale.
Comunque la si pensi, questo cortometraggio pubblicitario ha colto nel segno – al di là dell’eccellente risultato promozionale.
Di cosa parla “La pesca”? Di una bimba che costringe la madre a comprare una pesca, che poi lei regalerà al padre – i genitori sono separati – dicendole: “Questa te la manda mamma”. Ovviamente non è vero che gliela manda la madre, ma è proprio questo a far commuovere chi guarda la pubblicità.
E tuttavia sarebbe un grande errore interpretare “La pesca” come un inno alla famiglia tradizionale o come un attacco a diritti fondamentali quali la separazione e il divorzio. Perché non è di questo che si parla, ma di qualcosa di più profondo e struggente. Ma di cosa, esattamente?
Qualsiasi forma abbia una famiglia, quando dei figli vedono che questa famiglia si disintegra, è inevitabile che ci soffrano. Perché fare una famiglia è sempre una scelta d’amore, e quando l’amore finisce, qualcosa finisce anche nel cuore dei figli, inevitabilmente. Negarlo non è onesto.
Molti, in queste ore, contestano alla Esselunga di aver realizzato una pubblicità furba, che fa leva su sentimenti dolorosi “a scopo pubblicitario”. Non hanno tutti i torti, eppure se questa pubblicità sta facendo discutere e commuovere così tanto noi approfittiamone almeno per chiederci quale nervo scoperto sia riuscita a toccare.
Parlo da padre separato. A me “La pesca” ha commosso. Perché io lo so, anche se non ho il coraggio di ammetterlo, che i miei figli, anche se non lo dicono, in cuor loro hanno sempre il sogno che io e la loro madre un giorno torneremo insieme. Per quanto possano capire con la ragione e con l’esperienza che a volte è meglio separarsi che rimanere insieme forzatamente e infelicemente, dentro di loro ci sarà sempre il dolore e la nostalgia per qualcosa di prezioso che è andato perduto, e che per sempre rimarrà l’origine affettiva, benché mutilata, della loro esistenza.
Amo molto andare nei supermercati e nei centri commerciali. E proprio lì mi capita di osservare queste famiglie infelici che si trascinano stancamente e piene di noia e di frustrazione. Un giorno anche noi fummo così infelici. Poi decidemmo di separarci. Ma non fu migliore la vita, dopo. O forse sì, ma piena di mutilazioni. Perché le separazioni sono mutilazioni, anche quando ci si separa nella civiltà e nell’affetto. E a soffrirne di più sono proprio i figli, anche quando non lo fanno pesare, e tengono tutto dentro, con atroce e commovente misericordia.
La cosa che più fa male di questa pubblicità – e che dilania di sensi di colpa noi genitori separati – è che dà voce alle speranze e ai sogni dei figli che vivono questa mutilazione. Noi adulti possiamo dirci quello che vogliamo – che i diritti sono sacrosanti, che la separazione è meglio di una convivenza forzata, che anche da separati due genitori possono rimanere uniti, ecc. – ma la verità è che i figli rimangono feriti per sempre quando un genitore, a un certo punto, dice le parole più atroci della sua vita: «Anche se non vivrò più in questa casa, noi saremo uniti per sempre». Ferite al cuore che non guariranno mai per davvero.
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