Mostra di Venezia, è la grande occasione per il cinema italiano
Gli avversari dei film Made in Italy sono agguerriti ma il nostro cinema può fare la differenza. Favino star sul red carpet
VENEZIA. Per il sistema cinema del nostro Paese è arrivato il momento più importante dell’anno. E complici anche alcune defezioni dagli Usa per lo sciopero di attori e sceneggiatori di Hollywood, l’80esima Mostra di Venezia, al via ieri, ci offre un’occasione inedita: sono sei i titoli di nostri registi in concorso nella selezione ufficiale, mai così tanti in tempi recenti. E a dirigerli, spesso con budget di rilievo e un cast internazionale, è una squadra (tutta al maschile, per la verità) di cinque grandi autori – Matteo Garrone, Saverio Costanzo, Stefano Sollima, Edoardo De Angelis, Giorgio Diritti - e una delle grandi speranze sotto i 35 anni d’età: Pietro Castellitto. Portano film diversissimi, che suscitano forti aspettative in chi ama le storie italiane e spera di vederle premiate. Il nostro mondo ne avrebbe bisogno, per rafforzare la lenta ripresa post covid. In due titoli è protagonista Pierfrancesco Favino, tre anni dopo la Coppa Volpi per “Padrenostro” e acclamatissimo sul red carpet dell’inagurazione, star dell’apertura, in quel “Comandante” in cui De Angelis racconta una vicenda poco nota della Seconda guerra mondiale. Garrone in “Io Capitano” ci fa vivere con Seydou e Moussa l’allucinante viaggio dal Senegal alle coste italiane, Diritti in “Lubo” parla di arte di strada e cieca violenza del nazismo, Sollima va oltre il genere in “Adagio”, sospeso tra thriller di borgata e bilanci di vite sciupate, Costanzo in “Finalmente l’alba” rivisita i nostri anni ’50, tra speranze luccicanti e penombre del vizio offerte dal benessere in arrivo, e Castellitto Jr in “Enea” mescola commedia e dramma in una storia di oggi. Parlano italiano anche tanti film fuori concorso o di altre sezioni, da “Felicità” e “Con la grazia di un Dio”, debutti alla regia di Micaela Ramazzotti e Alessandro Roia, a quel “L’ordine del tempo” che ci restituisce una Liliana Cavani giovanissima novantenne (premiata con il Leone alla carriera), al nuovo, piccolo miracolo di Giorgio Verdelli, che in “Vengo anch’io” ci avvolge nell’arte beffarda e irresistibile di Enzo Jannacci. Fuori competizione anche Luca Barbareschi (anche tra i produttori di The Palace di Roman Polanski) con “The Penitent” che, da un testo di David Mamet, mette in scena uno psichiatra sotto accusa da parte dei media perché rifiuta di testimoniare a favore di un giovane ex paziente, instabile, che ha dichiarato la propria omosessualità ed è colpevole della strage di dieci persone. Tra i documentari, “Amor” di Virginia Eleuteri Serpieri, che affronta il trauma del suicidio della madre con un poema visivo su Roma, “Frente a Guernica” (versione integrale) di Yervant Gianikian e Angela Ricci Lucchi, che riflettono sulle grandi guerre e le ideologie del XX secolo e sugli effetti sul paesaggio.
Per nessuno di loro sarà facile emergere: Venezia 80, scioperi o meno, offre il consueto, ricchissimo ventaglio di grandi film e registi dal mondo tipico dell’era di Alberto Barbera, direttore artistico a cui si deve il ritorno della Mostra al centro del sistema cinema mondiale, coadiuvato dal presidente della Biennale Roberto Cicutto. L’unica defezione degli ultimi giorni della vigilia, causa lo sciopero, è stata quella di Luca Guadagnino, costretto a rinunciare al Lido a causa dello slittamento ad aprile del suo “Challengers”. La mostra, la cui giuria è guidata dal regista Damien Chazelle, quello di “La La Land” e “Babylon”, dovrà fare a meno di Emma Stone, protagonista di “Povere Creature!” di Yorgos Lanthimos, e Bradley Cooper, regista e interprete del biopic “Maestro” sul compositore e direttore d’orchestra americano Leonard Bernstein. Ma i grandi titoli non mancheranno, da “Priscilla” di Sofia Coppola a “The Killer” di David Fincher, da “Ferrari” di Michael Mann a “Memory” di Michel Franco, fino a “The Wonderful Story of Henry Sugar” di Wes Anderson, “The Caine Mutiny Court-Martial” di William Friedkin “Aggro Dr1ft” di Harmony Korine, “Hit Man” di Richard Linklater. E Venezia 80 non vivrà di soli film americani, forte di un programma che vedrà rappresentati ben 54 paesi. Il cinema europeo promette grandi cose con “Dogman” di Luc Besson, “Hors-Saison” di Stéphane Brizé, “La bête” di Bertrand Bonello, “The Green Border” di Agnieszka Holland, “Making Of” di Cédric Khan, “Coup de chance” di Woody Allen (in trasferta francese), “The Palace” di Roman Polanski (sul quale non mancheranno le polemiche, ma Barbera sottolinea la necessità di distinguere l’uomo dall’artista), “Daaaaaali!” di Quentin Dupieux. Oltre alle due serie, “D’argent et de sang” di Xavier Giannoli e Frédéric Planchon e “I Know Your Soul” di Jasmila Zbanic e Damir Ibrahimovic. Mentre dal Cile arriva “El Conde” di Pablo Larraín e dal Giappone “Evil Does Not Exist” di Ryusuke Hamaguchi, il celebrato regista del pluripremiato “Drive My Car”.
Ogni anno è possibile tracciare uno o più fil rouge dell’intera selezione. In questa edizione della Mostra emerge forte il bisogno dei cineasti di raccontare il disagio giovanile, il malessere e la delusione di una generazione tradita, senza prospettive e colpita da un lockdown che ha reso i ragazzi ancora più fragili e disorientati. In questo filone si collocano film come “Una sterminata domenica” di Alain Parroni, “City of Wind” di Lkhagvadulam Purev-Ochir, “Gasoline Rainbow” di Bill e Turner Ross, “En attendant la nuit” di Céline Rouzet, “Dormitory” di Nehir Tuna, “Forever Forever” di Anna Buryachkova, la già citata serie “I Know Your Soul”. Storie realmente accadute, biopic, drammi sociali completano il quadro di una Mostra che conta 82 lungometraggi (troppi?) nella selezione ufficiale, di cui 23 in competizione, e 14 cortometraggi. Nessuna regista italiana in gara, questo di certo salta all’occhio. La ragione è semplice e disarmante: non c’erano film diretti da donne all’altezza della competizione, e di questo dovrebbero rendere conto soprattutto i produttori e le loro strategie di supporto e finanziamento. Ma vale la pena sottolineare la presenza di “Origin” di Ava DuVernay, prima regista afroamericana a essere invitata in concorso a Venezia, che con il suo film denuncia il razzismo negli Stati Uniti e il sistema sociale di caste all’origine di una odiosa discriminazione etnica. Insomma, gli avversari dei film Made in Italy saranno tanti, e agguerriti. Ma l’occasione per il nostro cinema c’è. Proviamo a coglierla. l
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