Il fondale marino, un’altra Terra: qui si gioca il futuro del pianeta
Il mare profondo è già “popolato” da un intreccio di fattori economici, geostrategici e tecnologici, ma resta ancora inesplorato e quasi del tutto sconosciuto. Scrigno di risorse fondamentali per l’economia green, dalle terre rare ai metalli. E teatro di confronto tra le superpotenze. A a Livorno una giornata di studi
LIVORNO. Tanto ricco quanto sconosciuto. Strategico, per il prossimo futuro, ma ancora misterioso. È già “popolato” da un intreccio di fattori economici, geostrategici e tecnologici, ma resta ancora inesplorato. Il futuro è nel mare profondo. E la dimensione subacquea diventa il nuovo terreno di confronto tra le potenze internazionali. In cui, a dominare, è soprattutto il tema della tutela, della conservazione e della valorizzazione della biodiversità che caratterizza i fondali marini.
Il nuovo mondo. O almeno, il mondo che potrebbe saziare la fame di energia, ma anche quello che potrebbe offrire nuove soluzioni alla sostenibilità ambientale dello sviluppo. Insieme alla scoperta e allo studio dell’universo, l’approfondimento e la conoscenza della realtà subacquea, l’utilizzazione delle proprie risorse e soprattutto la regolamentazione di uno spazio per il momento ancora inesplorato, saranno probabilmente le sfide del secolo. In cui l’Italia è chiamata a giocare un ruolo fondamentale, soprattutto per “governare” l’accesso alle risorse e la sostenibilità di un futuro sistema di utilizzo delle ricchezze dei fondali marini della cosiddetta area del Mediterraneo allargato.
Temi e scenari futuri approfonditi nel rapporto “Geopolitica, strategia, interessi del mondo subacqueo. Il ruolo dell’Italia”, realizzato da Fondazione Leonardo-Civiltà delle macchine e Marina militare in collaborazione con gli studiosi e i ricercatori del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr) e dell’Università La Sapienza di Roma che sarà presentato oggi all’Accademia Navale di Livorno in occasione di una giornata di studio e confronto.
Proprio come lo spazio, l’ambiente subacqueo rappresenta «un ambiente distinto dagli altri», sottolinea il rapporto, ma «custodisce immense ricchezze per lo sviluppo sostenibile delle civiltà contemporanee a marcato connotato socio-tecnologico». Oltre a gas naturale e petrolio, è un immenso scrigno di «risorse minerarie», come i «noduli polimetallici, composti da vari elementi come ferro e manganese, ma anche acqua dolce, oltre a rame, cobalto e nichel». I fondali rappresentano quindi un «elemento fondamentale e irrinunciabile per lo sviluppo di innumerevoli settori dell’attività umana (industriale, medico, tecnico-scientifico, militare)» e la loro strategicità è già in parte materializzata. Ospitano infatti importanti «infrastrutture di valenza strategica, per il funzionamento del mondo in cui viviamo», prosegue il rapporto. Da cavi di comunicazione a reti per il «trasporto» di energia. Una «ricchezza» in parte già oggetto «dell’attività di svariati comparti economico-produttivi della cosiddetta blue economy, che riunisce le funzioni economiche direttamente o indirettamente collegate al mare» che non si è però mai spinta in quella che è ancora una dimensione inesplorata, quella subacquea.
«L’estrazione dei metalli dal mare» pone però politica, istituzioni ed eventuali utilizzatori davanti ad un bivio: «bilanciare la necessità di preservare la biodiversità marina e quella di approvvigionamento di materie prime necessarie per la nuova green economy basata sul largo impiego della propulsione elettrica», sottolinea il rapporto sviluppato da Fondazione Leonardo-Civiltà delle macchine e Marina militare. Una sfida nella sfida, che chiama anche ad una regolamentazione generale degli ambiti di intervento e dei possibili attori in campo.
Un primo, decisivo, passo è arrivato «dall’istituzione della zona economica esclusiva (Zee) con la Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare» che prevede «il controllo sulle attività economiche da parte dello Stato costiero sulla colonna d’acqua e il fondo e sottofondo marino fino a 200 miglia nautiche». «Si tratta – prosegue la relazione – di un ampliamento senza precedenti della giurisdizione dello Stato che comprime sempre di più la tradizionale libertà dei mari», producendo «un mutamento geopolitico essenziale, che fa sì che terra e mare non possano più dirsi ordini distinti e relativamente contrapposti». Una sorta di nuovo assetto perché «non esiste più una vita e un ordine marittimo completamente separato da una vita e un ordine terrestri». Un contesto, quindi, in costruzione. In cui l’Italia può giocare un ruolo fondamentale e di primo piano. «Un impegno» che deve essere «a tutto tondo» per «la promozione e la tutela degli interessi nazionali nel mare, sia sopra che sotto la superficie» con l’obiettivo di «continuare ad esprimere ordine nell’ambito del Mediterraneo allargato». Un impegno che però «rischia costantemente di essere compromesso da competizioni e attriti fra attori statuali e non e da sempre più diffuse minacce alla sicurezza marittima e alla libertà di navigazione». E per questo, visto che «il dominio subacqueo dei mari nazionali diverrà sempre più rilevante dal punto di vista strategico», conclude il documento che oggi sarà presentato a Livorno, sarebbe opportuno «imporre al Paese una riflessione sull’esigenza di creare un referente unico, che garantisca un’azione più concreta dello Stato sul mare e nel mare e sia in grado di gestirne le molteplici dinamiche».
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