Agorà al Copernico: al liceo di Prato giornate di confronto con scienza, letteratura e diritti
Il liceo di Prato torna a essere una “piazza” di dialogo e idee. Tra i temi trattati c’è stato quello dei femminicidi con focus sui segnali da captare subito, come ad esempio la gelocia asfissiante
Al liceo Copernico di Prato è tornata, la scorsa settimana, la quattro giorni di incontri dal titolo Agorà, un modo per ritrovarsi simbolicamente “in piazza” grazie a ospiti esterni chiamati a dialogare con gli studenti. In queste pagine, il resoconto dei ragazzi.
Tre educatrici dell’associazione antiviolenza di Prato La Nara hanno accompagnato all’Agorà Elena Amato, la cui sorella, Elisa, è stata vittima di femminicidio. Culturalmente siamo abituati a pensare che alcuni atteggiamenti possano “giustificare” la violenza, ma in realtà non è così. Elena ha condiviso con noi la storia di sua sorella.
«Elisa – ha detto Elena – conosce Federico, calciatore, 5 anni più giovane di lei, che si innamora di lei e fa di tutto per conquistarla. La riempie di attenzioni e di regali costosissimi, visti i guadagni fruttati dal suo lavoro». I suoi comportamenti iniziano però a limitare la libertà di Elisa.
«Le diceva cose come: “Non metterti quella maglia, è troppo scollata, e non uscire con quell’amica, non mi piace: voglio sapere sempre dove sei”. Ogni volta che lei lo allontanava, stanca di questi atteggiamenti, lui tornava ad essere l’uomo “perfetto”». Dopo una serie di allontanamenti, le rose e i gioielli non bastano più a farsi perdonare e Federico inizia a seguirla, aspettarla al lavoro e sotto casa, fino a che, il 26 maggio 2018 la uccide con tre colpi di pistola, dopo averla picchiata brutalmente. Infine si è tolto la vita».
La testimonianza è servita anche a parlare dell’importanza di riconoscere i campanelli d’allarme, come la gelosia asfissiante, la possessività, gli atti persecutori, la violenza fisica e psicologica, e della difficoltà che molte vittime di violenza hanno nel denunciare il partner, il marito o il padre dei propri figli, per paura di rovinare loro la vita e di tradire la relazione avuta.
Importante è anche come media e giornalisti divulgano le notizie. Titoli come: “L’ha uccisa in un raptus di furia perché lei lo tradiva”, anche se magari non hanno l’intenzione di colpevolizzare la vittima, forniscono quello stimolo inconscio che supporta il retaggio culturale che concepisce gli uomini come “maschi alfa che devono vincere nella relazione”. Il cuore del problema non è dunque il femminicidio o la violenza in sé, ma ciò che culturalmente siamo abituati a credere e il modo in cui giudichiamo gli eventi che ci circondano.
Per intervenire bisogna perciò lavorare su ciò che sta sotto la punta dell’iceberg: tutto quel retaggio culturale che, inconsciamente, ci porta a riconoscere una disparità tra i generi.
*Studente del Copernico