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Lo slogan "meno tasse" aiuta solo i ricchi

di Alessandro Volpi
Lo slogan "meno tasse" aiuta solo i ricchi

Una riforma fiscale seria e l’aumento degli stipendi devono essere le priorità

01 febbraio 2023
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Il problema è che continuiamo a far finta di non vedere. Nel 2022 la spesa pubblica ha superato il 50% del Pil mentre la pressione fiscale è di poco superiore al 42% del Prodotto interno lordo (Pil).

La spesa sociale indifferibile - quella del Welfare - ha raggiunto i 615 miliardi di euro su un totale di spesa di 1100 miliardi di euro, con una crescita di 140 miliardi dal 2019.

Quel 42% di pressione fiscale è sostenuto da una fascia sempre più limitata di contribuenti: il 97% dell’Irpef è pagata dal lavoro dipendente e su 40 milioni di contribuenti oltre 18 milioni pagano il 2,3% dell’Irpef totale. In più abbiamo 110 miliardi di evasione fiscale ogni anno.

La strada per lo smantellamento dei servizi, sanità in primis, è spalancata e la privatizzazione sarà presentata come indispensabile.

Ma, intanto, proseguiamo a gridare "meno tasse per tutti"!

Secondo i dati dell’ultimo rapporto di Oxfam, l’1% della popolazione mondiale ha visto crescere nel biennio pandemico 2020-21 la propria ricchezza, in termini reali, di 26 mila miliardi di dollari, pari al 63% dell’intero incremento; in Italia le percentuali sono state più o meno le stesse.

Lo stesso rapporto mette in luce che lo strumento per frenare una simile polarizzazione e la moltiplicazione delle disuguaglianze è costituto dall’adozione di un diverso sistema di tassazione che sia realmente progressivo.

Come accennato, lo slogan meno tasse, è evidente, favorisce solo i super ricchi.

Se servono conferme a questa insostenibile condizione, si possono facilmente trovare. Le società quotate alla borsa di Milano hanno registrato utili nel 2022 per la cifra record di 73 miliardi di euro, in gran parte realizzati da società energetiche e banche.

È significativo rilevare che la quasi totalità di tali utili sono "registrati" non in Italia ma in sedi fiscali "di favore"; quindi i benefici per il sistema fiscale italiano sono quasi inesistenti.

Nel frattempo, nel 2022, per la prima volta dal 2017, si sono ridotti i risparmi degli italiani ed è cresciuto il volume dei prestiti richiesti per far fronte a spese indispensabili; una domanda che, dopo l’aumento dei tassi ad opera della Banca centrale europea (Bce), è diventata assai più costosa.

Peraltro l’Italia presenta altri numeri impietosi. Nel nostro paese i pensionati sono circa 16 milioni e gli occupati sono 23 milioni di cui 18 milioni sono lavoratori dipendenti.

Di questi 18 milioni, ormai oltre 3 milioni sono a tempo determinato e stiamo assistendo ad una proliferazione di partite Iva "fittizie" create per evitare le assunzioni. La retribuzione media è intorno ai 21 mila euro annui.

È chiaro che con questi numeri il sistema pensionistico non regge e reggerebbe ancor meno con un anticipo dell’età pensionistica che non crea nuovi posti di lavoro.

Ma il vero problema è costituito proprio dal livello delle retribuzioni: con retribuzioni che sono, in media, di 4mila euro inferiori al resto dell’Europa e con un numero di occupati decisamente più basso, il sistema non tiene e le stime di un "buco" di circa 30 miliardi di euro nei conti pensionistici è persino ottimistica.

È evidente che riforma fiscale e aumento delle retribuzioni dovrebbero essere le priorità politiche per una serie infinita di ragioni, anche perché la strada, fino ad oggi battuta del debito, sembra sempre più impervia.

Se la Bce continuerà ad alzare i tassi, come i suoi vertici si sono premurati di dichiarare a Davos per il nostro paese saranno guai seri.

Non solo collocare l’indispensabile debito pubblico costerà moltissimo, anche per effetto della concorrenza che ai titoli italiani faranno proprio i titoli di debito europei necessari a finanziare il Piano nazionale di ripresa e resilienza o altri titoli comuni, ma ci sarà un altro problema.

La Banca d’Italia detiene titoli del debito pubblico italiano per circa 500 miliardi di euro, che stanno rapidamente svalutandosi a causa degli alti tassi di interesse della Bce.

Dunque c’è il rischio che la stessa Banca d’Italia abbia bisogno di un "ricapitalizzazione" a spese dello Stato italiano, sempre più alle prese con conti a rischio.

Serve davvero una nuova riflessione o saremo travolti.

*Università di Pisa

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